Mancato pagamento delle tasse e 'crisi di liquidità' da Covid-19 - DB

2021-12-06 02:03:12 By : Ms. Sheila Xi

Emanuele Angiuli, socio, Nicolò Biligotti, associato, Fornari e Associati

Sommario: Introduzione. 1. Le tipologie di reato (ad oggi) rilevanti. 2. L'orientamento (rigoroso) della giurisprudenza di legittimità. 3. Le prospettive di esenzione della 'crisi di liquidità' post Covid. 3.1. Mancato pagamento dell'IVA non riscossa dal contribuente. 3.2. Mancato pagamento dell'IVA e ritenute dovute a 'forza maggiore'. 3.3. Mancato pagamento dell'IVA giustificato da finalità sociali. 4. Conclusioni.

Quello che si auspica è che quello in corso sia l'inizio di un processo di costante e graduale riduzione dei limiti imposti alla libertà personale dei singoli e all'attività delle imprese, destinato a concludersi con l'archiviazione definitiva dell'emergenza sanitaria presso 'in seguito alla sintesi del vaccino.

Eppure - pur muovendosi nella più rosea delle prospettive - resta il fatto che il Covid-19, seppur rapidamente debellato, lascia in eredità una pesante crisi economica destinata a protrarsi per un periodo di tempo molto più lungo di quello che caratterizzerà l'emergenza sanitaria.

Come quella sanitaria, anche la crisi economica ha bisogno di un vaccino e, in questo senso, si sono finora verificati una serie di interventi normativi caratterizzati dallo stesso carattere di eccezionalità del fenomeno attuale. Non solo l'immissione nel mercato di una consistente liquidità posta sotto garanzia pubblica [1], ma anche l'inedita (e temporanea) revisione del quadro normativo fallimentare societario, che ha portato - tra l'altro - al parziale rinvio dell'entrata in vigore del nuovo Codice delle crisi e delle insolvenze d'impresa [2], la sospensione del differimento del prestito all'impresa in crisi da parte del socio [3], la sospensione delle norme che disciplinano la riduzione del capitale per perdite e la tutela dei la soglia minima di capitalizzazione legale delle imprese [4], nonché il cambio di paradigma in merito alla valutazione contabile del requisito della continuità aziendale [5]. Inoltre, per quanto riguarda specificamente il versante tributario, l'intervento normativo posto in essere dalla normativa emergenziale si è concentrato principalmente sulla sospensione temporanea dei versamenti di contributi, ritenute e imposta sul valore aggiunto per le imprese appartenenti a settori o province. significativamente influenzati dalla crisi in corso, nonché dal generalizzato differimento delle scadenze fissate per i relativi pagamenti.

Nel loro insieme, dunque, gli interventi sinora elevati dal legislatore a 'vaccino' della crisi economica sono sostenuti da una precisa ratio unitaria, la stessa da cui ha preso il nome uno dei principali testi di legge: prevedere 'liquidità' a quella parte preponderante del tessuto imprenditoriale italiano ormai composto da imprese sane e - in condizioni fisiologiche - capaci di operare sul mercato in modo sostenibile e competitivo, seppur al netto del deterioramento delle risorse immediatamente disponibili derivante dalla limitazione, se non interruzione, dell'attività imposta dall'emergenza sanitaria.

Vista in questi termini, la 'crisi di liquidità' delle imprese italiane - lungi dall'essere una dinamica occasionale e di breve termine - assume il significato di un evento endemico destinato a costituire il principale ostacolo alla ripartenza economica delle unità produttive. Non solo immediatamente, ma per mesi (se non anni) a venire. Proprio in questa prospettiva, invece, il fenomeno è stato riconosciuto e peraltro disciplinato nei termini sopra indicati.

Presa dalla prospettiva del diritto penale-fiscale (posto alla base di questo contributo), l'endemica 'crisi di liquidità' in atto si candida quindi ad assumere le sembianze di fatto giuridicamente rilevante, in grado di determinare le sorti dei futuri processi penali che dovrebbe essere stabilito dall'imprenditore inerte nel versare l'imposta sul valore aggiunto o le ritenute all'erario nei termini previsti dai rispettivi reati a carico.

In queste condizioni, infatti, il rigido orientamento della giurisprudenza di legittimità - sempre ostile al riconoscimento dell'efficacia esentativa della cosiddetta 'crisi di liquidità' in relazione al prolungato mancato pagamento dei debiti tributari - potrebbe cedere il passo alla dirompente e inedita situazione economico-sociale in atto, nonché le perplessità su di lui che da tempo sono sorte dalla dottrina e dai giudizi individuali di merito.

1. I tipi di reato (ad oggi) rilevanti

Quando si tratta di imputazione dell'imprenditore per mancato pagamento di imposte e tasse, si tratta di una materia giuridica che - dal punto di vista storico - è composita e caratterizzata da una marcata eterogeneità di vedute da parte del legislatore.

L'imputazione all'imprenditore per mancato pagamento dell'imposta sul valore aggiunto è stata originariamente introdotta nell'ordinamento italiano dal DPR n. 633/1972, solo da abrogare dalla legge 516/1982. Non fatevi però ingannare da questa sporadica eccezione: la legge in questione (n. 516/1982) passerà alla storia con il nome di 'manette agli evasori' e sarà la repressione legislativa delle violazioni - come l'omesso pagamento delle ritenute d'acconto, ad esempio - in precedenza ritenute meramente formali e correttamente controllate dalla sola sanzione amministrativa.

Un cambio di tendenza, quello ora in questione, destinato a essere drasticamente contraddetto dal decreto legislativo n. 74/00 (a tutt'oggi il testo unico di riferimento del diritto penale-fiscale): un testo di legge che - pur avendo preso atto della ventennale inefficacia generale- e speciale-preventiva dimostrata dalla logica dell' ammanettamento evasori fiscali' - si riprometteva di incentrare la sanzione penale "su un ristretto catalogo di reati, caratterizzati da rilevante offensività e specifica evasione fraudolenta"[6], sottraendo così ogni omesso pagamento dall'ambito di competenza penale.

Fu solo negli anni successivi - con la Legge 311/2004 (legge finanziaria per l'anno 2005) e con il Decreto Legge 223/2006 (Decreto Bersani) - che il settore penale dell'ordinamento giuridico tornò ad attrarre condotte di puro omesso pagamento: il cui oggetto materiale è stato appositamente selezionato - con una scelta che, come vedremo, fu tutt'altro che casuale [7] - in coincidenza esclusivamente con l'imposta sul valore aggiunto dovuta sulla base della rispettiva dichiarazione dei redditi e con le ritenute certificate.

La selezione operata è stata, in tal senso, definitiva e le norme incriminanti degli omessi versamenti delle ritenute e dell'IVA sono ora riconducibili a dove erano state inserite a suo tempo, cioè, rispettivamente, negli artt. 10-bis e 10-ter del Decreto Legislativo n. 74/00. I successivi legislatori, a dire il vero, non furono immuni dalla tentazione di ricalibrare il quadro normativo, ma non giunsero mai a mettere in dubbio l'adeguatezza della sanzione penale contro il mancato pagamento delle suddette imposte, limitandosi invece ad agire, solo su le soglie di pena previste dalle fattispecie incriminate o su alcuni loro elementi costitutivi. L'ultimo intervento riuscito, in questa direzione, è stato quello attuato nel periodo del governo Renzi, visto l'abbassamento delle soglie di pena proclamato e poi non concretamente attuato sotto il governo Conte. Un intervento - proprio quello del governo Renzi - che ha avuto l'effetto di ampliare e restringere al tempo stesso l'ambito della disciplina penale relativa al mancato pagamento; infatti: (i) da un lato, le soglie di sanzione per l'omesso versamento delle ritenute d'acconto e dell'IVA sono state innalzate rispettivamente a € 150.000 e € 250.000, rendendo irrilevanti gli omessi versamenti per importi inferiori a tali soglie; (ii) per quanto riguarda invece le ritenute d'acconto, è stata attribuita rilevanza penale non solo alle ritenute attestate da apposita certificazione rilasciata al lavoratore, ma anche alle ritenute risultanti dalla sola dichiarazione dei redditi (modello 770).

A seguito dell'intero iter legislativo sopra riassunto, il contribuente è ora posto di fronte alle seguenti responsabilità penali per mancato pagamento dei debiti tributari:

A ciò si aggiunge la fattispecie incriminata - non contenuta nell'organismo di regolamentazione ex D.Lgs. n. 74/00, ma previsto dall'art. 2 c. 1-bis del D.Lgs. 463/1983 - secondo cui: "l'omesso versamento delle ritenute [previdenziali e assistenziali], di importo superiore a 10.000 euro annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a a € 1.032”.

Dal punto di vista dell'analisi dei casi, ci troviamo di fronte a reati:

L'esegesi 'grezza' degli elementi costitutivi dei casi di omesso pagamento ora effettuata è utile per ancorare i dati normativi al diritto vivente nella più attuale e consolidata giurisprudenza di legittimità.

D'altra parte, sono proprio i suddetti tratti caratteristici delle fattispecie di mancato pagamento che l'attuale giurisprudenza applica per giungere alla repressione penale indiscriminata di quasi ogni ammortamento delle casse tributarie - a titolo di IVA o di ritenute - eccedenti le soglie di punizione previsto. dalla normativa incriminatrice: € 10.000 per ritenute previdenziali e assistenziali; € 150.000 per ritenute d'acconto ex art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/00; € 250.000 per imposta sul valore aggiunto ex art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/00.

2. L'orientamento (rigoroso) della giurisprudenza di legittimità

Una volta privato di rilevanza ogni elemento oggettivo che esuli dal ristretto perimetro costituito dall'omesso pagamento dell'imposta per un valore eccedente la soglia di punibilità entro il termine stabilito dalla norma incriminatrice, anche l'elemento soggettivo del reato si limita a la sola volontaria consapevolezza di compiere l'omissione penalmente rilevante, sembra quasi marcata la sorte dell'imprenditore che ha registrato un persistente deficit nelle casse fiscali per IVA o ritenute.

L'irregolarità fiscale è infatti destinata ad emergere durante il controllo automatico delle dichiarazioni disposto dagli Uffici competenti, i quali – sempre automaticamente – saranno tenuti a segnalare tale irregolarità all'Autorità Giudiziaria con apposito verbale.

Il fascicolo, una volta sulla scrivania di un Pubblico Ministero, attiverà l'obbligo di azione penale dell'investigatore, giustificato in questo caso dai soli controlli sulla scadenza del cosiddetto lungo termine previsto per l'adempimento e sul superamento della soglia di pena indicata dalla legge incriminatrice.

Arrivato al processo, l'imprenditore si troverà di fronte a una secca alternativa:

E se la scelta dell'imputato – magari vincolata, vista l'assenza di risorse liquide immediatamente disponibili per il pagamento – dovesse ricadere sulla seconda alternativa, di certo gli spazi concessi alle argomentazioni difensive non brillano in termini di ampiezza. Ciò che rimane, in sostanza, è la dimostrazione (recte: l'accusa) da parte dell'imputato di una 'crisi di liquidità' della società tale da rendere l'omesso pagamento un'eventualità obbligatoria, imprescindibile o, quantomeno, non socialmente riprovevole e, quindi, , non meritevole di sanzione penale [15].

Eppure, è proprio su questo fronte che la consolidata giurisprudenza di legittimità stringe i propri ranghi per fornire una ricostruzione ermeneutica dei reati di mancato pagamento nell'ambito del quale la circostanza fattuale della 'crisi di liquidità' della società è destinata ad essere confinato alla quasi totale irrilevanza.

Gli orientamenti giurisprudenziali ora richiamati - compatti nel loro rigore - non hanno mancato di sollevare dubbi in campo dottrinale e all'interno di alcune scarse pronunce di merito, che si sono progressivamente distaccate dal consolidato orientamento maggioritario.

È opportuno, quindi, indagare le lacune e le criticità insite negli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, così da evidenziare i tanti 'ponti d'oro' che potrebbero portare a una rivalutazione della circostanza fattuale della 'crisi di liquidità' nell'ambito della reati di mancato pagamento.

Ciò nel timore che l'iterazione dei rigorosi indirizzi giurisprudenziali sopra richiamati – pur di fronte all'eccezionalità del momento storico in corso – possa portare a condanne difficilmente giustificabili dal punto di vista economico e, come tale, respinta - e non assimilata - dal tessuto sociale di riferimento, con conseguente (dannosa) tensione tra la percezione del fenomeno naturalistico posto al vaglio del Giudice e le regole in cui è chiamato ad essere sussunto.

3. Le prospettive di esenzione della 'crisi di liquidità' post Covid

3.1. Mancato pagamento dell'IVA non riscossa dal contribuente

Sottoporre a sanzione il mancato pagamento dell'IVA non materialmente riscossa dal contribuente significa attribuire rilevanza penale alla violazione di un duplice obbligo per la società: (i) l'obbligo di versare l'imposta sul valore aggiunto a favore delle proprie controparti commerciali e (ii) l'obbligo di accantonare riserve di liquidità destinate all'Erario a titolo di IVA anche a fronte del loro mancato incasso per inadempimento del cliente.

La violazione del primo dei predetti obblighi non assume rilevanza penale ex se per la società contribuente e, tuttavia, il mancato pagamento dell'IVA a favore delle sue controparti commerciali scaricherebbe su queste ultime il rischio penale di non poter procedere con il relativo pagamento a favore dell'amministrazione finanziaria. È la violazione del secondo degli obblighi, invece, che assume diretta rilevanza penale: una volta compiuta un'operazione imponibile, infatti, la società è soggetta all'obbligo - sanzionato penalmente in caso di successivo mancato regolamento del imposta di lungo periodo - accantonare l'IVA non percepita in vista del suo successivo versamento all'erario; e questo in un momento in cui la società - non solo non percepiva l'imposta dalla controparte commerciale - ma, naturalmente, nemmeno l'importo previsto come compenso per il servizio reso.

Non sembra difficile prevedere che l'endemica illiquidità che affliggerà le aziende all'indomani della ripresa dell'attività post-Covid si tradurrà anzitutto in una serie di inadempimenti (forse anche parziali, intesi come ritardi di pagamento) tra le varie aziende coinvolti nelle rispettive transazioni commerciali. Eppure, così strutturata, la sanzione penale per mancato pagamento dell'IVA sembra voler colpire l'imprenditore trascinato nella spirale di illiquidità generata da una serie di inadempienze a catena, selezionando e sanzionando la sua unica inadempienza nei confronti dell'erario mentre al allo stesso tempo ignorando le (forse nutrite) sequele di inadempimenti contrattuali da cui - in ultima analisi - deriva l'inadempimento sanzionato stesso.

Come già accennato, la punizione del contribuente che omette di versare all'erario l'IVA non riscossa deriva, secondo costante giurisprudenza, da due considerazioni ben precise: (i) la prima è inerente alla condotta del reato di omessa pay, che si sostanzia nella semplice e semplice omissione del pagamento dell'imposta nel cosiddetto lungo termine, con conseguente irrilevanza di ogni evento precedente; (ii) la seconda è inerente al regime fiscale dell'IVA, che imporrebbe all'Amministrazione finanziaria la liquidazione dell'imposta sul valore aggiunto indipendentemente dalla sua effettiva riscossione da parte del contribuente.

A parere di chi scrive, nessuna delle due considerazioni risulta conclusiva in materia.

È senz'altro vero che il regime tributario dell'IVA impone il pagamento dell'imposta all'erario anche in caso di mancata riscossione anticipata del contribuente. Eppure, qui, non si discute dell'obbligo di pagare al fisco. Indipendentemente dall'attuazione dell'azione di contrasto penale, il pagamento dell'imposta all'Agenzia delle Entrate resta infatti obbligo e – in caso di inadempimento da parte del contribuente – l'attivazione di una serie di procedimenti amministrativi volti a portare il totalità dell'imposta precedentemente omessa, più interessi e sanzioni.

Rilevante, invece, è l'opportunità di sottoporre a sanzione penale (oltre che amministrativa) il mancato pagamento dell'imposta non riscossa e, in tale prospettiva, appare superficiale arrivare all'affermazione di tale opportunità sulla base di un'esegesi riduttiva e troppo semplicistica del reato di mancato pagamento dell'IVA.

Non vi è dubbio, invece, che la condotta del reato di omesso versamento dell'IVA si risolva nel semplice mancato pagamento dell'imposta il 27 dicembre di ciascuna rendita; tuttavia - e questo è spesso prevenuto dalla giurisprudenza di legittimità - tale condotta omissiva nasce all'esito di una serie di circostanze di fatto che assumono sul piano tecnico il ruolo di 'prerequisiti per il reato': circostanze di fatto, quindi, che - al pari della condotta omissiva considerata di per sé - costituiscono l'elemento oggettivo della fattispecie di omesso versamento dell'IVA e la cui sussistenza nella specie è da ritenersi essenziale ai fini dell'integrazione del reato.

In altre parole, non è corretto affermare che il reato di omesso versamento dell'IVA reprime il semplice mancato pagamento dell'imposta nelle casse tributarie entro la scadenza del 27 dicembre. Al contrario, l'art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/00 punisce chi: (i) effettua operazioni imponibili; (ii) riceve il corrispettivo, anche fiscale, dalla controparte commerciale, omettendo il conferimento; (iii) presentare la dichiarazione IVA annuale; (iv) persevera nell'omissione fino al termine previsto dalla legge per il versamento dell'acconto IVA relativo al periodo d'imposta successivo (27 dicembre di ciascuna rendita); (v) omette volontariamente il pagamento dell'imposta per un importo eccedente la soglia di pena prevista dalla legge a carico, attualmente pari a € 250.000.

In tal senso, appare imprescindibile l'inserimento della riscossione nel catalogo delle 'condizioni' del reato di omesso pagamento dell'IVA. D'altra parte, se il reato di omesso versamento dell'IVA è oggi - l'unico tra gli omessi versamenti di imposte e tasse, insieme alle ritenute alla fonte - attratto dal settore penale dell'ordinamento, è proprio per la possibilità della preventiva riscossione dell'imposta da parte del contribuente in un momento antecedente a quello della sua debita liquidazione all'erario.

Sul punto, si segnala che esiste una peculiarità che contraddistingue l'oggetto materiale dei reati ex art. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/00 da ogni altra imposta o imposta e, come tale, giustifica le rispettive incriminazioni: la disponibilità materiale da parte dell'agente (e, quindi, il mancato accantonamento dello stesso) delle somme destinate all'erario. Poiché l'imprenditore entra nella disponibilità materiale dell'importo dovuto all'erario - esclusivamente poiché l'imprenditore entra nella disponibilità materiale dell'importo dovuto all'erario in un momento precedente al pagamento dell'imposta - è penalmente responsabile per il suo mancato pagamento nel cosiddetto termine. lungo.

D'altra parte, questo è il motivo per cui nel 2004-2006 il legislatore ha ritenuto necessario inserire - a seguito della depenalizzazione di ogni omesso pagamento operato per mano del decreto legislativo n. 74/00 - solo IVA e ritenute nel catalogo tributario il cui mancato versamento è idoneo a giustificare la risposta penale di legge. La condotta (omissiva) del reato - come correttamente evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità - si conclude con l'omesso pagamento dell'imposta nel cd lungo termine; eppure il disvalore inerente a questa unica condotta si colloca a monte, cioè nell'«infedeltà» manifestata dall'imprenditore nella gestione delle somme da lui provvisoriamente ma definitivamente detenute dovute al fisco: nel loro omesso accantonamento e nella loro distrazione verso finalità terze rispetto alla soddisfazione dei crediti tributari.

Quindi - ove la preventiva riscossione dell'imposta da parte del contribuente fallisca - non vi è neppure 'infedeltà' dell'imprenditore nella gestione delle risorse spettanti al contribuente. Al riguardo, ciò che rimane sul piano fenomenico è una condotta omissiva solo apparentemente sussumibile nella norma incriminatrice, ma in realtà priva di tutto il disvalore sociale che, nell'intento del legislatore, giustifica la reazione penale da parte dell'ordinamento. E la giurisprudenza di merito – a differenza di quella di legittimità – sembra dimostrare un buon governo di questo criterio interpretativo [20].

In definitiva, non è solo un'interpretazione 'giuridico-utilitarista' basata su una migliore aderenza dei dati letterali della legge alle caratteristiche eccezionali della crisi socio-economica ad esonerare l'imprenditore dalle sanzioni penali per il mancato pagamento dell'imposta non precedentemente raccolto. in atto, ma piuttosto un'interpretazione del diritto ispirata anzitutto dall'intento psicologico del legislatore storico, dal fondamento teleologico della norma incriminatrice e, infine, dal principio costituzionale di offensività (astratto e concreto) sempre vigente in materia penale.

3.2. Mancato pagamento IVA e ritenute per 'forza maggiore'

Vista l'attuale crisi, è plausibile ipotizzare - tra gli scenari che saranno esaminati dai Giudici nel prossimo futuro - anche quelli che vedono l'imprenditore omettere consapevolmente di accantonare l'Iva (anche se riscossa) o le ritenute da versare all'imposta in qualità di sostituto d'imposta. Questo, però, nella ragionevole convinzione di recuperare in seguito - e altrove - le risorse liquide per far fronte al pagamento dei debiti tributari.

È il caso dell'imprenditore che, nei primi mesi del 2020, ha sentito di dover far fronte a un fabbisogno temporaneo di risorse liquide con l'utilizzo di fondi per Iva e ritenute, seppur con le migliori intenzioni di reintegrare tali fondi in un secondo momento (forse con la maggiore liquidità derivante dalle operazioni commerciali per le quali erano stati utilizzati i fondi originari). È il caso, invece, dell'imprenditore che in questo intento è stato colto a metà dall'avvento del Covid: un evento esterno, dirompente e imprevedibile che - grazie all'interruzione o limitazione dell'attività imprenditoriale - ha cristallizzato nel tempo la carenza di risorse a titolo di accantonamento, rendendo impossibile il loro reintegro in tempo utile per procedere al pagamento dei tributi nel cd lungo termine previsto dalla normativa incriminatrice.

L'eventualità non fa sorgere dubbi sulla sussistenza del 'presupposto' del reato di omesso pagamento: infatti, l''infedeltà' dell'imprenditore nella gestione degli accantonamenti IVA (riscossi) e ritenuti definitivamente destinati al L'Agenzia delle Entrate è completamente registrata. . La destinazione a terzi (seppur provvisoria nell'intento) di tali risorse integra a tutti gli effetti quella condotta distratta lato sensu che giustifica l'attrattiva del caso di mancato pagamento nel settore penale dell'ordinamento.

Soffermarsi, tuttavia, sulla condotta delle ipotesi di mancato pagamento: proprio quel mancato pagamento dell'imposta nel cd lungo termine contemplato - quasi esclusivamente - dalla giurisprudenza di legittimità.

Difficilmente si può dire che sia oggettivamente imputabile al soggetto agente. Quando, invece, si tratta di reati omissivi, la possibilità effettiva e concreta di adempiere allo specifico imperativo imposto dalla norma incriminatrice - nel momento specifico in cui è richiesta - costituisce una componente indispensabile della condotta tipica. Componente - irrinunciabile ai fini dell'integrazione del reato - che in questo caso è sopraffatta dalla sopravvenuta mancanza di liquidità sui conti correnti aziendali alla scadenza del termine penalmente rilevante. Non c'è dubbio, infatti, che - a prescindere da un'eventuale precedente 'infedeltà' registrata nell'amministrazione dell'imprenditore delle risorse destinate al fisco - alla scadenza del cd lungo termine il contribuente si trovasse nell'obiettivo impossibilità di ottemperare all'imperativo sancito dalla norma incriminatrice.

Ciò sembrerebbe sufficiente ad integrare le condizioni necessarie per l'applicazione dell'istituto della cd forza maggiore'. Come definito dalla stessa giurisprudenza di legittimità, la 'causa di forza maggiore' si consolida in un «evento naturalistico o umano, che sfugge alla sfera del dominio dell'agente e che è tale da determinarlo incoercibilmente (vis maior cui si resiste non potest) verso la realizzazione di una determinata condotta, attiva od omissiva, che, di conseguenza, non gli può essere legalmente imputata»[21]. Parafrasando, tale evento - imprevedibile, vincolante e ingovernabile, come nel caso di specie l'assenza di liquidità propedeutica al pagamento dell'imposta - l'inerzia spinge l'agente verso una condotta - in questo caso omissiva e costituita dal mancato pagamento dell' imposto entro il termine fissato dalla norma incriminatrice - che per questo si distacca anche dalle caratteristiche di umanità necessarie per l'accusa 'personale' di responsabilità penale.

L'omesso pagamento dell'imposta nel cd lungo termine non è imputabile ad un 'fatto umano', ma ad un evento esterno e vincolante; ad una 'forza maggiore' che esonera l'agente (e la sua 'non condotta') da ogni responsabilità penale.

L'unico 'fatto umano' individuabile in tale eventualità è, infatti, proprio quella 'infedeltà' dell'imprenditore dimostrata dal progressivo mancato accantonamento a titolo d'imposta di riserve liquide. Tuttavia, tale condotta non sembrerebbe - ove svincolata dall'omesso pagamento finale - autonomamente sanzionata penalmente. Non da un punto di vista oggettivo, nella misura in cui il d.lgs. n. 74/00 - nel ridisegnare la risposta penale dell'ordinamento tributario - ha imposto una frammentazione dei comportamenti penalmente rilevanti consapevolmente slegati da ogni formale violazione tributaria o propedeutici all'omesso pagamento finale; violazioni, queste ultime, che sono quindi ora correttamente assorbite dalla sola sanzione amministrativa [22]. Non da un punto di vista soggettivo, in quanto la risposta punitiva dell'ordinamento si baserebbe su un'inammissibile anticipazione di dolo fino ad una risoluzione estranea alla fattispecie tipica in senso stretto, in questo caso rappresentata dalla decisione dell'imprenditore ( imprudente e, quindi, per lo più negligente) di omettere il versamento progressivo dell'imposta piuttosto che sulla 'volontà' dell'imprenditore di omettere il pagamento finale dell'imposta entro il cd lungo termine. Una 'volontà' realmente inesistente nel caso di specie, poiché costretta irresistibilmente dall'inesistenza di qualsiasi riserva di liquidità utile a procedere al pagamento, che risulta quindi adempimento impossibile indipendentemente da qualsiasi 'volontà' contraria del contribuente [23].

Tuttavia, resta un fatto. La 'causa di forza maggiore' non può essere riconosciuta dall'organo giudiziario nel contagio da Covid e nella conseguente limitazione-interruzione dell'attività aziendale in sé e per sé considerata. Sarà l'imprenditore-contribuente che dovrà dimostrare (recte: allegare) in giudizio l'assenza - totale e oggettiva - della liquidità necessaria per procedere all'adempimento del debito d'imposta nel c.d. lungo termine, nonché il permanere di tale impossibilità anche a fronte dell'attivazione di tutte le iniziative imprenditoriali e personali utili al recupero di tali somme [24]. E da questo punto di vista, un ruolo importante potrebbe essere giocato anche dalla possibile attivazione di misure predisposte a sostegno della liquidità delle imprese, tra cui, in primis, la richiesta agli istituti di credito di finanziamenti assistiti da garanzia pubblica.

3.3. Mancato pagamento dell'IVA giustificato da finalità sociali

A causa del Covid, la stragrande maggioranza delle aziende italiane si troverà ad operare in deficit di liquidità. In definitiva, ciò significa che le risorse liquide a disposizione delle aziende non saranno quantitativamente sufficienti a soddisfare tutte le esigenze richieste dal business.

Di fronte a questa eventualità, l'imprenditore sarà chiamato a fare delle scelte per razionalizzare la liquidità aziendale: dovrà, insomma, decidere con quali finalità asservire le limitate risorse a disposizione, soddisfacendo così alcuni bisogni e lasciandone altri frustrati. Così facendo, l'imprenditore - nell'incasso - potrebbe consapevolmente omettere di accantonare l'imposta sul valore aggiunto, e ciò non nella ragionevole aspettativa di poter far fronte al debito d'imposta nel cosiddetto lungo termine attraverso risorse aggiuntive, ma con l'intento consapevole e volontario di destinare l'importo raccolto al soddisfacimento di esigenze di terzi; bisogni carichi di valore morale, insiti nella vita dell'impresa o comunque privi di connotazioni distraenti o appropriative (si pensi al pagamento degli stipendi dei dipendenti o al pagamento dei fornitori: questa è la cosiddetta evasione di sopravvivenza). Si tratta, in sintesi, della subordinazione delle esigenze del fisco a esigenze diverse, non alimentate da un intento 'egoistico' dell'imprenditore ma anzi apprezzabili dal punto di vista sociale.

Non vi è dubbio che, in tale scenario, il reato di omesso versamento si integra in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi: (i) si ha la riscossione del tributo e si omette volontariamente l'accantonamento di quanto riscosso; (ii) non sussiste l'oggettiva impossibilità di procedere al pagamento dell'imposta nel cd lungo termine, quanto piuttosto una precisa scelta imprenditoriale di non procedere in tal senso, anche a fronte di risorse astrattamente disponibili allo scopo. In definitiva, le lodevoli finalità dell'agente restano apprezzabili solo sul piano morale, poiché si scontrano, sul piano giuridico, con la possibilità materiale di adempiere all'obbligo di legge, nonché con la generica malizia dei casi, che rispettivamente cancellano sul lato oggettivo e soggettivo, le ragioni che sorreggono la condotta dell'autore del reato dalla struttura tipica del reato.

Eppure, si tratta di un'analisi superficiale che relega le apprezzabili finalità alla base della condotta dell'imprenditore nell'ambito del giuridicamente irrilevante, specie laddove quanto evidenziato a sostegno di tale presupposto è l'unica circostanza per la quale la fattispecie di dolo generico non postulare - ai fini della sua integrazione - ogni considerazione in merito ai 'motivi di reato' dell'autore del reato.

Anzitutto, non vi è dubbio che le finalità perseguite dall'agente attraverso la condotta penalmente rilevante compiono un primo salto dall'ambito «morale» a quello «giuridico» attraverso l'attenuante comune prevista dall'art. 62 cp, secondo cui la pena inflitta al reo subisce uno sconto fino ad un terzo del suo importo se quest'ultimo ha «agito per ragioni di particolare valore morale o sociale» [25].

In secondo luogo, si ritiene che non manchino strumenti concettuali per ipotizzare il compimento di un ulteriore salto delle finalità perseguite dall'agente dalla sfera 'morale' a quella 'giuridica'. Un salto più incisivo, poiché capace di mettere in discussione l'opportunità stessa di applicare una sanzione penale al caso di specie.

Ha ragione la giurisprudenza quando afferma che il dolo generico richiesto dal caso di mancato pagamento non richiede alcuna valutazione delle finalità perseguite dall'agente. Eppure, l'elemento soggettivo del reato - nella fattispecie il dolo generico - è solo un tassello della più complessa categoria disciplinata dal 'principio di colpa': si tratta di un principio inerente al combinato disposto della tutela accordata ai dignità umana. dall'art. 2 Cost., alla ragionevolezza normativa dell'art. 3 Cost., alla principale finalità rieducativa della sentenza dall'art. 27 c. 3 Cost. e, in definitiva, alla personalità della responsabilità penale dall'art. 27 c. 1 della Costituzione. Una rete di norme fondamentali che restituisce la colpa nei termini della 'ragionevolezza effettiva' del rimprovero proposto dall'ordinamento di fronte a un fatto oggettivamente illegittimo, come stabilito dalla Corte Costituzionale nella storica Sentenza n. 364/1988.

È per questo motivo che la giurisprudenza deve quindi dimostrarsi cauta nel mettere da parte analisi frettolose in punto di diritto e nell'utilizzare giusta lungimiranza nella valutazione di ogni indice di fatto allegata dall'imputato in giudizio, in modo da restituire un'indagine approfondita delle ragioni per le quali la sanzione penale eventualmente applicata può ritenersi giustificata alla luce di «quanto è umanamente dovuto dal soggetto cui incombe l'obbligo di adempiere» [26].

La condanna penale per un'omissione fiscale il cui disvalore non è percepito dal tessuto sociale di riferimento (al punto che, forse, ogni contribuente nella sua sfera personale potrebbe arrivare a ritenere che - posto nelle condizioni del reo - avrebbe agito stesso nella stessa modalità) rischia di provocare un dannoso scollamento tra la sfera giuridica e la sfera naturalistica che è chiamata a governare, soprattutto in corrispondenza di un evento inedito e dirompente come il contagio da Covid.

E non certo assimilabile dal tessuto imprenditoriale sembra la condanna del contribuente che sceglie consapevolmente di finalizzare le risorse destinate all'erario per favorire la prosecuzione dell'attività imprenditoriale e lo fa con il provato intento di provvedere - una volta che la congiuntura economica negativa si sia stato superato - al pagamento di tutte le somme dovute, come forse dimostrato da un accordo rateale nel frattempo concordato con l'Agenzia delle Entrate.

Tutto questo senza considerare che sanzionare la rilevanza penale di tali comportamenti significherebbe, per l'ordinamento, arrecare esso stesso un notevole danno all'erario e al tessuto imprenditoriale: la presenza sul mercato di un operatore economico in grado di generare reddito nell'immediato futuro . (e di conseguenza pagando regolarmente le tasse) verrebbe così sacrificato sull'altare della percezione immediata del singolo debito tributario pregresso, perseguito a costo di condurre il soggetto economico all'insolvenza. L'insolvenza che comporterebbe ulteriori oneri accessori per la Pubblica Amministrazione, tra cui, non ultimo, il costo degli ammortizzatori sociali previsti per i dipendenti ora disoccupati.

Le soluzioni giuridiche per giungere a una ricalibrazione del rigoroso orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di omesso pagamento dei tributi non mancano e, anzi, si distinguono per varietà e coerenza sistematica. di valutazione postuma da parte della magistratura penale, che a giudizio di chi scrive - quando l'emergenza sarà tornata e a mente fredda, quando l'entità di questa crisi economica si spera sarà solo un ricordo - deve essere immune dalla tentazione di esprimere giudizi asettici e slegato dalle eccezionali peculiarità del fenomeno ora in corso.

[1] Si tratta del principale intervento economico a sostegno del tessuto imprenditoriale italiano previsto dal decreto 23/20 (cd decreto liquidità).

[6] Con l'introduzione del Decreto Legislativo n. 74/00 la scelta del legislatore è stata quella di «limitare la repressione penale ai soli fatti direttamente correlati, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, al pregiudizio degli interessi fiscali, con correlata rinuncia alla criminalizzazione di atti meramente formali e violazioni preparatorie”. Ciò nel dichiarato intento di sacrificare le numerose fattispecie precedentemente introdotte sull'altare dei principi generali di legalità e offensività, in modo da formare una serie di lacune normative volte, in definitiva, a focalizzare la pena «su un ristretto catalogo di fattispecie penali, connotati da rilevante offensività e frode specifica di evasione” (Cfr. relazione del Governo al d.lgs. n. 74/00, comma 1).

[7] Cfr. infra, Paragrafo 3.1., 'Mancato pagamento dell'IVA non riscossa dal contribuente'.

[8] Il momento divorante del reato di cui all'art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/00 coincide con il termine per il pagamento dell'acconto IVA relativo al periodo d'imposta successivo, stabilito dall'art. 6 c. 2. Legge n. 405/1990 al 27 dicembre di ciascuna rendita (c.d. long term, contrariamente alle scadenze mensili o trimestrali previste dalla normativa tributaria, irrilevanti dal punto di vista penale). La sanzione (puramente amministrativa) per l'omesso versamento periodico è irrogata dall'art. 13 c. 1 decreto legislativo n. 471/1997.

[9] Anche in questo caso i termini previsti dal punto di vista fiscale per il pagamento delle ritenute sono irrilevanti dal punto di vista penale. La loro scadenza, quindi, non attiverà che l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla legge.

[10] Si segnala tuttavia che - in caso di mancato pagamento delle ritenute previdenziali e assistenziali relative a una mensilità superiore - il reato di cui all'art. 2 c. 1-bis ln 638/1983 si configura eccezionalmente come delitto di uso prolungato, il cui compimento coincide con la data del 16 gennaio della rendita successiva, cioè la data prevista per il pagamento dell'ultima mensilità. In tal senso, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse con la recente Sent. n. 38954/2019: “il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali si configura ormai come una fattispecie caratterizzata da una progressione penale in cui, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni consumate nel corso dello stesso anno si pongono come momenti esecutivi di delitto unitario con impiego prolungato, la cui cessazione definitiva coincide con la scadenza del termine per il pagamento dell'ultima mensilità, ovvero, con la data del 16 gennaio dell'anno successivo”.

[11] Le letture giurisprudenziali, del tutto minoritarie, che, nel tentativo di arginare l'applicabilità dei casi di mancato pagamento, hanno individuato il dolo specifico risultano oggi del tutto superate, in quanto datate, in aperto contrasto con il dettato delle norme incriminanti e mai accettata dalla giurisprudenza di legittimità.

[12] artt. 13 del Decreto Legislativo n. 74/00: “i delitti di cui agli articoli 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del giudizio di primo grado, i debiti tributari, ivi compresi le sanzioni amministrative e gli interessi , si estinguono mediante il pagamento integrale delle somme dovute, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e dell'adesione all'accertamento previsto dalle norme tributarie, nonché il ravvedimento attivo”. Per quanto riguarda il mancato pagamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, invece, il termine per l'integrale pagamento dei contributi non versati - e la conseguente non punibilità del trasgressore - è individuato dall'art. 2 c. 1-bis ln 638/1983 in “tre mesi dall'impugnazione o dalla notifica dell'accertamento della violazione”.

[13] Che nel caso di specie non prevede la celebrazione dell'udienza preliminare, stante il fatto che la prosecuzione dei reati di mancato pagamento avviene mediante citazione in giudizio e non mediante richiesta di rinvio a giudizio .

[14] Sempre ove il pagamento dell'imposta non sia registrato, l'indagato può chiedere l'applicazione della sanzione su richiesta delle parti (cd patteggiamento). In questo caso - sempre a fronte di una serie di benefici premiali, tra cui lo sconto di pena - verrebbe emessa a carico dell'indagato-imputato una sentenza di patteggiamento: provvedimento giuridicamente assimilabile ad una condanna.

[15] In realtà ci sono linee di difesa aggiuntive, marginali. L'assoluzione dell'imputato potrebbe essere giustificata dal fatto che egli non ha ricoperto la carica di legale rappresentante della società durante l'anno di riferimento e al momento della scadenza del cd lungo termine di pagamento. La mancata punizione dell'imputato (e, quindi, la sua assoluzione) potrebbe invece essere sostenuta per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cp, soprattutto quando l'importo dell'imposta non versata supera di poco la soglia di pena prevista dalla norma incriminatrice. In questo senso, la recente Cass. Penna. Inviato. n, 15020/2019, in applicazione in materia penale-fiscale del principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte con Sent. n. 13681/2016.

[16] Cass. penna., Inviato. n. 19099/13: “l'obbligo di indicare nella dichiarazione annuale e, conseguentemente, il pagamento dell'IVA è stato, soprattutto, fino ad oggi, ordinariamente svincolato, salvi i casi di applicabilità del regime IVA per cassa dall'effettiva riscossione delle somme per premesso, la stessa strutturazione del reato in termini di condotta omissiva svincolata dall'effettiva riscossione rivela l'errore di prospettiva dell'attore nell'aver limitato il profitto del reato alla sola somma incassata e non corrisposta, senza considerare anche il profitto necessariamente inerente ai risparmi economici comunque derivanti dal mancato pagamento dell'imposta”. Si veda, in modo particolarmente chiaro sul punto, anche Cass. penna., Inviato. n. 38279/14: “Applicando i criteri viziati espressi dal Tribunale di Pescara alla causa penale provvisoriamente impugnata al GM, sembrerebbe che la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 - ter, si verifica solo nel caso in cui il presunto sostituto d'imposta, in realtà soggetto passivo, ometta di restituire allo Stato quanto effettivamente ricevuto. Al contrario, la ricostruzione del caso è molto più semplice; integra infatti la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, la condotta di coloro che non provvedono al pagamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta sulla base della dichiarazione entro il termine fissato per il pagamento della caparra relativa al periodo d'imposta successivo a quello di cui sopra. annualmente dallo stesso soggetto passivo redatto, indipendentemente dal fatto che le somme in tale dichiarazione indicate come dovute a titolo di IVA siano state poi o meno riscosse dal predetto contribuente”.

[17] Cass. Pen., Inviato. n. 37424/2013: “la prova del dolo è generalmente inerente alla presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale risulta quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere pagato o quanto meno contenuto non oltre la soglia entro il previsto a lungo termine”. Ne consegue che «la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del lungo termine non può essere invocata per escludere colpe, se non si dimostra che essa non dipenda dalla scelta di non soddisfare debitamente i predetti bisogni».

[18] Drastico, sul punto, Cass. Pen., Inviato. n. 37873/2015: “il dolo è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illegittimità, in quanto la legge non richiede, come ulteriore requisito, un atteggiamento antipolvere di volontario contrasto con il precetto violato. La scelta di non pagare comprova il dolo; le ragioni della scelta, compresa la crisi di liquidità, non la escludono».

[19] In questo senso la recente Cass. penna. Inviato. n. 5007/19.

[20] Tribunale di Bergamo, Sent. n. 1907/2017: “in estrema sintesi, la norma incriminatrice punisce un comportamento dell'imprenditore lato sensu appropriandosi di somme che siano state impresse a diversa destinazione dalla legge […] occorre quindi chiedersi il motivo per cui il legislatore ha deciso sanzionare solo questi - e non altri - omessi pagamenti, e il motivo deve essere individuato nella natura appropriativa degli stessi [...] Pertanto, se, da un punto di vista puramente fiscale, permane l'obbligo, la rilevanza penale di l'omissione cessa perché manca il presupposto appropriativo: manca cioè la prova che il cliente abbia pagato l'IVA indicata nelle fatture non pagate, con conseguente assoluzione dell'imputato».

[21] Così il recente Cass. Penna. Inviato. n, 9960/2020.

[22] Se così non fosse, del resto, l'importo distintivo del reato verrebbe meno rispetto al reato tributario, con conseguente perdita del rapporto di progressione penale esistente tra gli stessi. Interpretazioni di segno opposto sono quindi da ritenersi escluse, poiché è (anche) la discrepanza temporale tra il momento strumentale del reato e quello amministrativo che consente la negazione dell'adem factum posto alla base dei rispettivi reati e, quindi, a tutela del divieto fondamentale del bis in idem. Vedi Cass. pen., SS.UU., Sent. n. 37424/2013: “il reato, secondo l'approccio di politica penale adottato in generale dal d.lgs. n. 74/00, costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa e, per il contenimento di quest'ultima (senza almeno una violazione del termine periodico, le condizioni del reato non sono ovviamente determinabili), lo arricchisce di elementi essenziali (dichiarazione annuale, soglia, termine prorogato) non del tutto riconducibili al paradigma di specialità (che, ove applicabile, comporterebbe ovviamente la sola applicazione del reato penale, in quanto recano segmenti comportamentali determinanti (con riferimento alla presentazione della dichiarazione annuale IVA e alla prosecuzione della condotta omissiva), che si verificano temporalmente in un momento successivo al compimento dell'illecito amministrativo”

[23] Un percorso argomentativo, quello più recentemente proposto nel testo, che è ben sintetizzato in una sentenza del Tribunale di Firenze, Ufficio del GIP, del 27 luglio 2012: «il processo penale, a differenza dell'imposta uno, richiede di valutare e provare la volontarietà dell'omissione (nel senso richiesto dalla legge violata, cosicché deve risultare che l'agente si sia rappresentato e abbia voluto l'omissione di pagamento entro il termine richiesto), volontarietà che nel presente caso non sussiste a causa della crisi finanziaria in cui si trovava l'imputato"

[24] I margini per ritenere inesistente la dimensione oggettiva dei reati di mancato pagamento sono descritti in modo particolarmente chiaro da una sentenza del Tribunale di Milano, Sent. n. 13701/2015: “Ovvero, occorrerebbe dimostrare che il soggetto che ha omesso il versamento delle ritenute effettuate nei termini previsti dalla disciplina fiscale aveva inteso farlo entro il termine penalmente rilevante, ma il verificarsi del totale eventi eccezionali, imprevedibili e non imputabili all'agente hanno successivamente reso impossibile il pagamento, in quanto determinavano una situazione di assoluta illiquidità, alla quale era impossibile far fronte ricorrendo a qualsiasi misura, anche a scapito della prosecuzione dell'attività d'impresa. , si tratta di situazioni in cui l'esito dell'assoluzione è imposto da una considerazione riassumibile nel noto latino brocardo 'ad impossibilia nemo tenetur'».

[25] In questo senso la recente Cass. Penna. Inviato. n. 10084/2020, sentenza che ha riconosciuto la sussistenza dell'attenuante in capo all'imprenditore per aver omesso il pagamento dell'IVA a favore del pagamento dello stipendio ai propri dipendenti.

[26] «Ciò che è umanamente esigibile dal soggetto cui incombe l'obbligo di adempiere è il concetto fondante degli scarsi giudizi di merito e di legittimità che sono giunti, in casi come quello in esame, all'assoluzione del contribuente. Tra la giurisprudenza di legittimità si veda Cass. penna., Inviato. n. 15176/2014; Cass. penna. Inviato. n. 9264/2014. Tra la giurisprudenza in materia, invece, Tribunale di Milano, Sent. n. 8741/2015; Tribunale di Milano, Sent. n. 13701/15.

Emanuele Angiuli, socio, Nicolò Biligotti, associato, Fornari e Associati