La storia di Tupperware è la storia delle seconde possibilità

2021-12-27 00:57:56 By : Ms. Tina Gu

Nell'America degli anni '50 una madre single cambia per sempre le regole del gioco a colpi di contenitori ermetici e house party

Non esiste famiglia nel mondo occidentale che non abbia un ricordo legato a un Tupperware, l’onnipresente contenitore di plastica per i pic-nic della domenica, il salva-pranzo dell'ultimo momento con gli avanzi del giorno prima, la schiscetta in ufficio che, per milioni di donne alle prese con una società che negli anni ’5o le considerava anzitutto madri, ha rappresentato un’insperata opportunità di emancipazione. Quella di Tupperware è infatti soprattutto una storia di nuove possibilità: quelle di uno scarto industriale che rinasce come nuovo prodotto di consumo e quella delle casalinghe in cerca di indipendenza economica. Almeno secondo i canoni dell'epoca.

Ma procediamo con ordine. Alla fine della Seconda guerra mondiale, Earl Tupper iniziò a progettare nuovi prodotti in plastica destinati al mercato consumer partendo dalle scorie oleose di polietilene: è la nascita del “Poly-T”, un materiale facile da produrre in serie in una miriade di colori e forme diversi, e del primo contenitore Tupperware, la Wonder Bowl, una ciotola traslucida e più resistente di qualsiasi altro contenitore l’avesse preceduta. Era anche a tenuta d’aria e d’acqua, grazie al doppio coperchio sigillato di Tupper, brevettato nel 1947, ma poteva essere aperta e chiusa grazie a un semplice sistema a pressione.

Quando fu lanciata, nel 1946, la Wonder Bowl venne definita dagli addetti una nuova “icona del design moderno” racconta allo Smithsonian la curatrice Shelley Nickles, che lavora spesso con la vasta collezione di Tupperware del National Museum of American History, composta da oltre 100 pezzi realizzati tra il 1946 e il 1999.

Nonostante questo, le vendite erano deludenti: la plastica era ancora un materiale sconosciuto nel mondo domestico e il sistema di apertura e chiusura, così diverso dai barattoli in vetro e ceramica a cui il pubblico era abituato, suscitava più di una perplessità.

È qui che entra in gioco Brownie Wise (un soprannome dovuto ai suoi grandi occhi marroni), all’epoca mamma trentenne divorziata che viveva nella periferia di Detroit barcamenandosi con un lavoro da columnist anonima per il Detroit News e un posto da segretaria per la società aeronautica Bendix Aviation. Quando un venditore della Stanley Home Products bussò alla sua porta cercando di venderle dei prodotti per la pulizia, Wise capì che avrebbe potuto essere molto più brava di lui, e si candidò come venditrice.

A quell’epoca l’azienda stava sperimentando una nuova modalità di vendita dei propri prodotti: organizzare delle dimostrazioni durante delle feste in casa con le potenziali clienti. In poco tempo, Wise guadagnava abbastanza da lasciare il suo lavoro di segretaria.

Dopo aver capito che nonostante il successo non avrebbe mai avuto un ruolo da dirigente alla Stanley Home (“non è il posto per una donna” le disse il capo di Stanley Frank Beveridge), tentò una carriera con Tupperware, convinta del potenziale di un oggetto colorato e flessibile, economico e resistente. Le sue feste furono un successo: le donne partecipavano ammaliate dal fascino e dalla sicurezza di Wise, acquistavano con convinzione e, con ancora più convinzione, provavano la stessa carriera di venditrici.

Nell'ottobre 1949 Wise aveva già assunto 19 nuove e il suo team di Detroit vendeva più Tupperware della maggior parte dei grandi magazzini e fu sufficiente un incontro tra lei ed Earl Tupper per convincere l’imprenditore, un uomo pratico e senza fronzoli, a creare una nuova divisione dedicata solo alle feste in casa, con Wise come direttore generale.

“Erano lo yin dello yang di Tupper”, scrive Bob Kealing nel libro Tupperware Unsealed. “Laddove lui era esigente e solitario, Wise viveva per socializzare e ispirare la forza lavoro del rivenditore”.

Nel 1952, il primo anno con la nuova sezione gestita da Wise, le vendite aumentarono vertiginosamente, con ordini all’ingrosso che superano i 2 milioni di dollari.

Le venditrici Tupperwer spuntarono in tutta l’America, dando forma a un’emancipazione femminile capace di crescere senza sfidare apertamente i canoni della società: erano a tutti gli effetti donne lavoratrici, ma non mettevano in discussione l’autorità dei loro mariti o lo status quo; lavoravano all’interno di una rete di amiche e vicine di casa, eppure potevano contribuire al bilancio familiare. Tecnicamente, nessuna di loro era dipendente di Tupperware: erano appaltatrici private ​​che agivano collettivamente come infrastruttura tra l’azienda e il consumatore. Una sorta di social-network ante litteram.

Negli anni ‘50 prodotti Tupperware come la Wonder Bowl, gli stampi per ghiaccioli Ice-Tup e il vassoio da portata Party Susan arrivarono a rappresentare un nuovo stile di vita del dopoguerra che ruotava intorno al divertimento e alle feste, e Wise diventò il volto pubblico di Tupperware, apparendo su riviste femminili e pubblicazioni commerciali per pubblicizzare i prodotti e la cultura aziendale che aveva creato.

L’equilibrio potenzialmente perfetto entrò in crisi quando Wise cominciò a diventare troppo famosa rispetto ai prodotti, almeno secondo Tupper. Nel gennaio 1958, lui e il consiglio di amministrazione licenziarono Wise, che non aveva un contratto formale. Dopo averli portati in tribunale, Wise ricevette una compensazione una tantum pari allo stipendio di un anno (circa 30 mila dollari) e Tupper vendetta l'azienda.

Da allora i nuovi proprietari di Tupperware hanno fatto in modo di mettere i luce i meriti di Wise: nel 2016 hanno donato 200 mila dollari a un parco di Orlando vicino alla sede dell'azienda per ribattezzarlo Brownie Wise Park e hanno inserito il suo contributo decisivo nella storia ufficiale dell'azienda. La sua eredità più grande, ovviamente, è nel modello di business che è riuscita a creare, e che ancora oggi è alla base di un fiorente settore di attività di vendita diretta multilivello.