Come è fatta la tua barca? Passo dopo passo, vediamo come nasce in cantiere la tua amata

2022-09-30 18:09:47 By : Mr. Bruce Zhao

Adagiato sulle ali che gli consentono di ruotare di 180 gradi, facilitando così l’accesso ai laminatori, lo stampo femmina illustrato nella foto ricorda un mostro del giurassico. E invece è da questo strano oggetto che prende forma una barca in vetroresina. Per arrivare a questo step, ovvero per ottenere la matrice da cui nascerà la scocca di uno scafo, c’è già stato un gran lavoro. Si è anzitutto individuato il tipo di barca che il mercato richiede e, basandosi su quegli input, il progettista ha prodotto il disegno esecutivo grazie ai nuovi software 3D con cui si plasmano le forme e se ne valutano le prestazioni. Dopodiché quel disegno serve a realizzare il modello, un finto scafo che un tempo era in legno e ora, con le nuove tecnologie della fresatura a controllo numerico, è di polistirolo o altre schiume sintetiche. Si procede quindi a rivestire questo finto scafo con la vetroresina, si separa il rivestimento ed ecco ottenuto lo stampo femmina, la cui forma concava servirà da matrice per realizzare scafi tutti uguali. Come si può notare dalla foto, lo stampo è irrigidito anche da barre d’acciaio per evitare deformazioni durante la catalisi della resina. Ed è costituito da due semigusci tenuti assieme da controflange imbullonate. Questo consente di aprire lo stampo ed estrarre con facilità la scocca dello scafo, una volta terminata la laminazione.

1. LA FASE INIZIALE La costruzione inizia con la pulizia dello stampo dalle scorie della scocca precedente e dalla polvere, nemica di una buona laminazione. Quindi si procede all’applicazione del materiale distaccante, come illustrato nella foto a tutta pagina. Si tratta di una particolare cera che permette il distacco della scocca dallo stampo a laminazione finita.

Nei cantieri più moderni il gelcoat viene applicato a spruzzo con macchinari automatizzati, così da ottenere uno spessore uniforme su tutta la superficie. Oltre a funzioni estetiche, il gelcoat impermeabilizza il laminato ritardando la formazione di osmosi. Per questo è preferibile il tipo neopentilico, caratterizzato da un’alta resistenza all’idrolisi e ai raggi UV. Ma anche la resina impiegata nella laminazione influisce sulla protezione antiosmosi: bassa per la poliestere ortoftalica, più alta per la poliestere isoftalica, ottima per la vinilestere con cui alcuni impregnano gli strati esterni della carena. Altri adottano invece l’epossidica, che oltre a migliori caratteristiche meccaniche ha il grado più elevato di impermeabilizzazione.

Vinilestere ed epossidica hanno un altro vantaggio: il loro forte potere adesivo evita l’utilizzo del mat (un “feltro” con fibre di vetro spezzettate e quindi con scarse qualità meccaniche) che viceversa, con le resine poliesteri, si deve applicare tra un tessuto e l’altro per ottimizzarne l’incollaggio. A parità di robustezza, il laminato senza mat risulta più leggero. Riguardo ai tessuti, molti utilizzano i biassiali o i multiassiali di vetro (le fibre sono disposte con due o più orientamenti) di alta grammatura. In questo modo, con pochi strati si ottiene lo spessore desiderato.

Altri applicano un maggior numero di strati ma di grammatura inferiore, talvolta composti da tessuti unidirezionali, ovvero con le fibre disposte in una sola direzione che è quella del carico. Ciò comporta costi di produzione più alti, ma offre una migliore qualità. Da tenere presente che la robustezza di un laminato dipende dalla quantità di fibra e non di resina.

Ed è questo uno dei motivi per cui molti cantieri stanno passando alla tecnica dell’infusione. Grazie a questo metodo, che in realtà nasce per limitare l’emissione di sostanze tossiche in fase di laminazione, si arriva al 35% di resina e 65% di fibra. Percentuali irraggiungibili con la laminazione manuale, dove è già molto ottenere un 50% di resina e 50% di fibra.

2. IL SANDWICH Alcuni cantieri adottano la laminazione a pelle singola (detta anche laminato pieno), ovvero una serie di strati di fibra impregnati di resina a formare un grosso spessore. Altri usano invece la laminazione a sandwich, dove tra due sottili pelli di fibra di vetro e resina (due sottili laminati pieni) viene interposta un’anima leggera che può essere di balsa o di schiuma in Pvc a cellula chiusa (Termanto, Airex ecc).

La tecnica del sandwich, in linea teorica, offre i maggiori vantaggi: il laminato è infatti molto più leggero, più rigido alla flessione e infine più coibente sia termicamente (minore formazione di condensa) che acusticamente. Resta un solo limite che è quello della possibile delaminazione (distacco) dell’anima dalla pelle esterna. Ormai quasi tutti i cantieri incollano l’anima con la tecnica del sacco a vuoto.

In pratica viene applicato un telo di plastica dotato di bocchettoni (come per l’infusione) sui pannelli di anima che nel frattempo sono stati incollati con particolari adesivi alla pelle esterna; prima che l’adesivo “tiri”, tramite una pompa collegata ai bocchettoni viene aspirata l’aria all’interno del telo. Questa pressione, che arriva a 0,9 bar, comprime il telo sull’anima del sandwich assicurandone una migliore adesione alla pelle esterna. Questa tecnica è una pre-condizione essenziale per limitare i rischi di delaminazione. Altra precauzione adottata su gran parte delle barche con scafo in sandwich è quella di realizzare l’opera viva (che è la zona dove si concentrano i maggiori stress) in laminato pieno, limitando il sandwich alle sole fiancate.

3. LA COPERTA Se per lo scafo ci sono cantieri che preferiscono le tecniche tradizionali, per la coperta si assiste a una graduale omologazione degli standard costruttivi. Salvo rare eccezioni, tutti adottano il sandwich e le ragioni sono le stesse espresse nelle pagine precedenti.

Figuratevi se in coperta non sia importante risparmiare peso (che si traduce in un abbassamento ancor più sensibile del baricentro, visto che si alleggerisce la parte più alta della barca), oppure incrementare la coibentazione per avere meno calore o meno freddo all’interno, così come un rumore attenuato.

Le differenze allora si riducono al tipo di anima impiegata, balsa o Pvc, e alle tecniche di laminazione del sandwich. Partiamo dalla prima: la balsa ha un peso specifico superiore e assorbe più resina, dunque è meno leggera del Pvc, ma proprio per la maggiore resina che assorbe garantisce un incollaggio più forte con le pelli. Inoltre la sua resistenza a compressione è più alta perché le sue fibre sono perpendicolari rispetto al pannello.

Il Pvc, dal canto suo, essendo a cellula chiusa assorbe meno acqua nell’ipotesi di una frattura delle pelli. Tra i due materiali, gran parte dei cantieri preferisce la balsa. Ora le nuove tecniche. Oltre al sacco a vuoto e all’infusione, di cui abbiamo già parlato, si sta facendo strada quella dell’iniezione.

Immaginate due stampi, un maschio e una femmina perfettamente combacianti: una volta spruzzato il gelcoat su entrambi gli stampi, si posizionano sullo stampo maschio i tessuti e l’anima del sandwich a secco (senza resina come avviene nell’infusione), si sovrappone lo stampo femmina, lo si chiude ermeticamente e si inietta la resina all’interno. Oltre ai vantaggi citati, la coperta è rifinita a gelcoat anche nella sua faccia interna. Così non si applica il cielino controstampato, guadagnando leggerezza e altezza sottocoperta.

4. LA STRUTTURA Gran parte dei cantieri di serie utilizza come ossatura il controstampo che ingloba madieri e longheroni, la base d’albero, il supporto del motore e talvolta la struttura di aggancio delle lande e la base del mobilio. Il controstampo è realizzato fuori opera laminando uno stampo a parte e poi viene incollato alla scocca e fazzolettato con strisce di tessuto di fibra di vetro e resina nelle zone più soggette a stress.

Questa tecnica ormai collaudata da migliaia di scafi naviganti (si faceva già all’epoca dell’Arpege) è stata migliorata nel tempo grazie alla maggiore precisione nella realizzazione del controstampo (si deve ai macchinari a controllo numerico) e di conseguenza ad accoppiamenti con la scocca più precisi.

Inoltre i nuovi adesivi hanno una resistenza a trazione nettamente più alta rispetto a quelli di un tempo, riuscendo così a compensare vuoti anche di alto spessore tra la scocca e il controstampo, che un tempo costituivano un problema in quanto non facevano lavorare le due unità sinergicamente.

Alternative al controstampo sono l’ossatura resinata direttamente sul fondo della scocca (i madieri e i longheroni sono costituiti da pezzi di Pvc vetroresinati sulla scocca) che oltre al vantaggio di costituire un corpo unico con la scocca è anche più leggera; oppure la gabbia d’acciaio galvanizzata (foto in alto a destra), una struttura che offre un’elevata rigidità pur senza utilizzo di fibre esotiche e costose come il carbonio. Punto debole di questa soluzione può essere l’eventuale collisione del bulbo contro una secca: la riparazione comporta infatti interventi che talvolta si rivelano molto laboriosi.

5. LA FASE FINALE Come illustra la foto a lato, la coperta di una barca di serie viene assemblata allo scafo con gli interni e gran parte degli impianti quasi completati.

Questa soluzione comporta un’accurata verifica del montaggio dei componenti più ingombranti, nell’ottica di poterli rimuovere per eventuali riparazioni; ma anche un perfetto posizionamento delle paratie, che devono intestarsi sulle sedi ricavate nel controstampo della coperta. Per questo è essenziale che le paratie siano tagliate con la massima precisione.

All’interno di queste sedi viene iniettato adesivo strutturale che serve a incollare le paratie alla coperta. Lo stesso adesivo (oppure sigillante siliconico) è distribuito lungo la flangia perimetrale dello scafo e la giunzione con il ponte viene completata con viti Parker o bulloni passanti che si intestano su una contropiastra metallica posta sotto la flangia.

Alcuni preferiscono vetroresinare la giunzione dall’interno, sistema più laborioso che però garantisce maggiore rigidità e impermeabilità nel tempo della zona di contatto. Ultima operazione è il montaggio del bulbo: la barca è sollevata e il bulbo, completo della sua gabbia che lo tiene verticale, trasferito sotto di essa.

I fori sullo scafo per i prigionieri sono fatti servendosi di una dima, nella giunzione tra scafo e bulbo viene applicato adesivo siliconico (tipo Sika). Poi si procede al serraggio dei dadi dei prigionieri con la chiave dinamometrica secondo le coppie fornite dal progettista. Dopo il collaudo in vasca di tutti gli impianti, la barca è finalmente pronta per la consegna.

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Complimenti per questo utile e bellissimo articolo.

Interessante articolo di base sui processi costruttivi. Peccato che emanchi qualsiasi rifeirmento all’esperienza sul costruito. Molti cantieri infatti, pur dotati di certificazioni di qualità altisonanti, fanno sperimentazione a carico dei clienti (es. infusione più di 10 anni fa). Per poi scoprire sul cmapo in ritardo grossi difetti di costruzione di cui nessuno sifa però più carico visto il tmepo passato. Il settore non brilla per serietà e volgio fare un nome sicuro che non lo pubblicherete ELAN.

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