Camillo e Adriano Olivetti, la storia di due italiani visionari - Libertà Piacenza

2021-12-06 02:27:42 By : Ms. Judy Xin

In occasione dell'anniversario della nascita di Camillo Olivetti, avvenuto il 13 agosto 1868, Green Future propone la storia di Camillo e Adriano Olivetti. Il fondatore dell'Olivetti e colui che l'ha resa grande. Il pioniere mai domo dalla mente vulcanica e l'imprenditore visionario che viveva nel futuro. Ma, soprattutto, un padre e un figlio, due italiani che da Ivrea hanno lasciato il posto a una realtà unica al mondo, fatta di cuore e innovazione, attraversando alcuni dei decenni più bui della storia contemporanea.

Ove non indicato per le informazioni contenute nell'articolo, si è fatto riferimento ai seguenti testi:

Camillo e Adriano Olivetti, la storia di due italiani visionari

Camillo, come il Conte di Cavour

Samuel David Camillo. Tre nomi, non uno di meno. Quando il padre Salvador Benedetto e la madre Elvira Sacerdoti lo comunicano al funzionario del comune di Ivrea, è presente anche il rabbino della comunità ebraica della città. Sì, perché la famiglia di Samuel David Camillo è ebrea. Sono trascorsi centinaia di anni, da quando gli antenati di suo padre si trasferirono dalla Spagna a Ivrea, in Italia, alla fine del 17° secolo. Samuel David Camillo non può sapere - in quel presumibilmente caldo 13 agosto 1868 è ancora neonato - eppure la sua origine e il suo credo religioso costituiranno uno dei crocevia della sua vita una volta approdato nel Novecento. È ancora presto per pensarci, figuriamoci per parlarne. Samuel David Camillo, oltre che ebreo, è una famiglia benestante appartenente alla borghesia di Ivrea. Vive sulle colline del Monte Navale, in una villa che pochi in quell'Italia potevano vantare. Dalle finestre e dal giardino fiorito si vedono le Prealpi. Il suo terzo nome, Camillo, gli fu assegnato dal padre in onore di Camillo Benso. Proprio quel Camillo Benso, conte di Cavour, che solo una decina di anni prima fu uno dei principali artefici dell'Unità d'Italia. Camillo è anche il nome con cui il bambino deciderà di firmarsi una volta cresciuto: Camillo Olivetti. Non ci vuole molto per maturare. Suo padre muore quando ha un anno. A quell'età è difficile anche conservare ricordi nitidi. La vita e il destino gli chiedono di rimettersi in piedi in fretta, e lui lo fa. Le storie parlano di un bambino irrequieto e solo. Sua madre Elvira è chiamata a contenerlo, cercando di mettere ordine e incanalare il fiume in piena che si trova alla testa. Ma sembra un'impresa impossibile: “Mia povera madre, credo che non abbia mai capito niente”, avrebbe scritto lo stesso Camillo (American Letters, Fondazione Adriano Olivetti, Roma 1999, p.254). Trascorrerà gran parte della sua infanzia in collegio, un luogo che non ama e che vorrà salvare a tutti i costi per i suoi figli. Ma trova un modo. Disegna, progetta, inventa. Già allora nella sua testa prendono forma grandi macchine industriali, frutto della fantasia ma anche premonitrici a loro modo. Non può stare fermo. Bastano un paio di sguardi per capire che il bisogno di creare qualcosa di nuovo deve necessariamente emergere e rivelarsi anche da grandi. E così sarà.

È il 1901. L'alba del nuovo secolo. Camillo Olivetti e sua moglie Luigia Revel stanno pianificando la loro vita insieme. L'11 aprile nasce il secondogenito Adriano (ma il primo maschio, elemento da non sottovalutare per la borghesia imprenditoriale dell'epoca). L'anno prima Elena era venuta al mondo. Avranno sei figli. Una famiglia numerosa (per gli standard attuali), a differenza di quella di Camillo e invece simile a quella di Luigia. Lei, timidissima figlia del pastore valdese di Ivrea Giovanni Daniele Revel, ha tredici fratelli. Donna riservata e di grande cultura, darà ai suoi figli un'istruzione scolastica e trasmetterà loro la conoscenza, anzi la padronanza, della lingua inglese. La famiglia è benestante, tanto da potersi permettere numerosi album fotografici che sono sopravvissuti fino ad oggi. Adriano, essendo il secondo di sei figli, compare in diversi scatti. Sempre completamente vestito, con quell'espressione austera che richiedevano i fotografi dell'epoca, mostra rigidamente i marcati tratti curvilinei che lo accompagneranno per tutta la vita. Crebbe come i suoi fratelli nel convento di San Bernardino di Ivrea, che suo padre Camillo acquistò nel 1908. Il locus amoenus che voleva per la sua famiglia, l'antitesi radicale del collegio in cui era cresciuto. Ampi spazi, tanto verde (compresi boschi e vigne) e sempre qualcuno con cui parlare, che fossero i fratellini, i genitori o una delle infermiere che sono rimaste dentro. Adriano cresce in questo nido e riceve un'educazione all'insegna della discontinuità con la tradizione di entrambi i rami della famiglia. Uno stampo forse più figlio del Novecento che dell'Ottocento visto dai genitori. Camillo e Luigia l'avevano deciso fin dall'inizio: niente battesimo, niente circoncisione, niente insegnamenti religiosi. La didattica dei ragazzi, compreso Adriano, sarebbe stata curata dalla natura e dalla stessa Luigia. Oltre allo studio del tutto privato e "familiare" che lo porterà dal 1909 in poi a superare gli esami ogni anno presso l'Istituto Tecnico Sommelier di Torino, Adriano trascorre molto tempo giocando all'aria aperta. Sviluppa una sensibilità per la natura e l'ambiente che lo circonda che porterà con sé anche nella vita imprenditoriale. Valerio Ochetto, nella sua biografia dell'imprenditore, definisce Adriano un figlio di "grande emozione". In tenera età piange spesso, ma non certo per punizioni corporali: non erano contemplate in famiglia. Certo, è un bambino privilegiato nella società italiana del primo Novecento, eppure Camillo e Luigia gli insegnano subito l'umiltà. Essere empatici con coloro che non appartengono alla propria classe sociale. Non abusare della sua posizione. “La nostra è una vita molto semplice, senza stravaganze o lussi”, scrive Miss Ruth Philipson, una ragazza del Dorset che soggiornava al convento per migliorare l'inglese dei bambini.

Camillo, 10 anni - Una lezione dai pionieri

È il 1878 e il giovane Camillo Olivetti continua a non sopportare il collegio. Troppo chiuso e soffocante per una mente irrefrenabile come la sua. Fino al 1881 soggiornò presso il Convitto del Regio Istituto Internazionale di Torino. Per un provinciale come lui, pur appartenendo alla borghesia, è un altro mondo. Quell'edificio ospita studenti provenienti da Perù, Cile, Argentina, Brasile, Egitto, Marocco, Giappone e diversi paesi europei. Quello che oggi chiameremmo un "crogiolo" e che all'epoca poteva rappresentare una finestra unica sul resto del mondo. Una scuola di alto livello: tra i docenti dei corsi universitari di economia c'è il futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Nel 1882 si trasferì al collegio Calchi-Taeggi di Milano, uno dei ginnasi più rinomati. Con difficoltà e ripetendo un anno raggiunge la licenza media (il nostro diploma di maturità classica). All'età di vent'anni, siamo nel 1888, Camillo si iscrive al Politecnico di Torino. Tra i suoi maestri c'è Galileo Ferraris, l'uomo che passerà alla storia come lo scopritore del campo magnetico rotante (sull'argomento c'è uno scontro emozionante con Nikola Tesla, che lo avrebbe scoperto anni prima) e l'ideatore dell'alternanza motore elettrico attuale. È uno di quegli scienziati-pionieri della rivoluzione industriale che immaginavano come sarebbe stato il ventesimo secolo decenni prima. Tra Olivetti e Ferraris nasce un sincero rapporto di stima e amicizia. Di quelli destinati a "fare giri enormi" per poi "rientrare" all'improvviso. Dopo tre anni, il giovane Camillo aggiunge al suo nome il titolo di ingegnere. Ing. Camillo Olivetti. Le capacità tecniche gli permettono di mettere ordine nel caos di idee che gli turbinano nel cervello, e di spiccare il volo. Appena laureato viene ammesso in un istituto di meccanica di precisione a Londra, dove visita diversi stabilimenti e lavora come operaio su strumenti di misura elettrici anche presso la Patterson & Cooper. Ma è deluso. I metodi delle fabbriche londinesi sono a suo avviso inadeguati. Tuttavia, perfeziona il suo inglese, che ora gestisce magistralmente, e riceve un invitante invito dal suo ex professore Ferraris (che è tornato dopo "immensi turni" di entrambi): deve andare al Congresso Elettrotecnico di Chicago che si sarebbe tenuto nel 1893 all'Esposizione Universale ma non si mastica la lingua. Ha bisogno di un traduttore che conosca sia la lingua del luogo che quella della tecnica. Pensa a Camillo, che accetta e parte con lui.

Adriano, 13 anni - Il battesimo del fuoco

È il 1914 e Adriano ha compiuto tredici anni. Un'età che divide il bambino dall'adolescente chiamato a diventare uomo. Un passaggio epocale per la vita di un maschio dell'epoca. Soprattutto in casa Olivetti. Se fino ad allora Adriano aveva goduto dei benefici della sua estrazione sociale, a tredici anni arriva il momento di sporcarsi le mani. Suo padre Camillo lo chiama in fabbrica. Non in ufficio, proprio sulla catena di montaggio. Tra gli operai, insieme agli operai, come gli operai. Nessuna distinzione. Il ragionamento è semplice: provate cosa significava il duro lavoro per dipendenti che, un giorno non troppo lontano, sarebbero stati chiamati a guidare in giacca e cravatta. È il figlio del padrone ma deve andare al suo battesimo del fuoco. Adriano scrive nelle sue memorie:

“Mio padre mi ha mandato a lavorare in fabbrica. Così ho imparato presto a conoscere e ad odiare il lavoro in serie: un supplizio per lo spirito che è stato imprigionato per ore che non finivano mai, nel buio e nel buio di una vecchia bottega... Per molti anni non ho messo piede in fabbrica ".

Un'esperienza traumatica dalla quale per tutta la vita cercherà di sottrarsi, costruendo modi nuovi e rivoluzionari di organizzazione della forza lavoro, e che cercherà di salvare il più possibile per i suoi lavoratori. Negli anni successivi Adriano diventa un adolescente sensibile con un forte senso del dovere, fortemente attratto dalle discipline umanistiche. Rudolf Steiner e suo fratello Massimo hanno letto tutto "La fisiologia dell'amore" di Paolo Mantegazza. Non riescono a finire la lettura: la madre li scopre e getta il libro nel fuoco. Di lì a poco, però, le preoccupazioni sarebbero altre. Nella primavera del 1918, appena diciassettenne, Adriano Olivetti scrive al padre:

"Credo di fare il mio dovere di soldato più che di lavoratore, perché è certo che si possono trovare quanti lavoratori si vogliono, mentre credo che purtroppo non ci sia un numero uguale di soldati veramente volenterosi".

Non chiede consigli e non cerca consensi. Ha già deciso. Si arruolò nel quarto reggimento alpini e finì a Saint Vincent. Non vedrà mai il fronte, anche perché nel novembre dello stesso anno viene firmato l'Armistizio di Compiègne che pone fine alla prima guerra mondiale e non ha ancora terminato la sua formazione iniziale. “L'uniforme militare gli cadeva malamente sulle spalle, che erano grasse e rotonde; e non ho mai visto una persona, in abiti grigioverdi e con una pistola alla cintura, più goffa e meno marziale di lui", scriveva Natalia Ginzburg nella sua autobiografia "Lexicon di famiglia". Lei Adriano lo conosceva bene, fin dall'infanzia. Anche perché il suo nome porta il cognome Levi, ebreo amico di famiglia dell'Olivetti.Tra l'altro, Adriano ha già nel cuore la sorella Paola (che poi sposerà).Durante il periodo in divisa, l'Olivetti incontra personaggi come Gaetano Salvemini e Piero Gobetti, intraprendendo la strada già tracciata dal padre: il socialismo. Camillo lo iscrive al Politecnico di Torino, che terminerà nel 1924 con la laurea in ingegneria chimica. Finisce a lavorare in fabbrica percependo lo stipendio di un lavoratore. Avrebbe voluto fare il giornalista, ma il clima in Italia gli fa cambiare idea. Mussolini è salito al potere due anni fa e in quell'estate è stato ucciso il deputato socialista Giacomo Matteotti.

“Tratto dal documentario di Pasquale Prunas e Roberto Rossellini, Benito Mussolini. Dalla marcia alla catastrofe, 1962, Una ricostruzione dei mesi che precedettero e seguirono il rapimento e l'omicidio di Giacomo Matteotti"

Camillo, 25 anni - I contadini elettricisti

Alla fine dell'Ottocento, un viaggio dall'Italia agli Stati Uniti non consentiva certo soggiorni della durata di un fine settimana. Camillo Olivetti rimane dall'altra parte dell'Atlantico fino all'agosto 1893. Cerca di memorizzare ogni dettaglio che nota, di assorbire ogni atomo della sostanza di cui è fatta quella terra di "libertà" e caratterizzata da un "dinamismo innovativo" che si intreccia" Attività di ricerca e produzione”. Alla fiera di Chicago c'è il meglio dell'ingegneria elettrica mondiale, ma per Camillo non basta. Viaggia in tutti gli Stati Uniti. Incontra i fisici più importanti, entra nel laboratorio di Edison General Electric ("capace di produrre ventisettemila lampadine al giorno") e occupa anche un posto di assistente alla cattedra di elettrotecnica alla Stanford University. Proprio a Palo Alto, in California, che sarà la culla della Silicon Valley quasi un secolo dopo. È ancora una mente del Novecento, nata con qualche decennio di anticipo. Il viaggio negli Stati Uniti non è un traguardo per lui. È un mezzo per maturare e accrescere la propria cultura prima di tornare nell'amata Ivrea. Vi ritorna nel 1894, e da qui inizia tutta un'altra storia. Olivetti incontra colleghi e amici dell'università, come Dino Gatta e Michele Ferrero, e con loro inizia ad importare in Italia biciclette Victor e macchine da scrivere Williams. Alla fine del 1894 iniziò a costruire la mitica “Fabbrica di mattoni rossi” e nella sua villa tenne “brevi corsi elementari di elettricità” ai contadini dei territori limitrofi. I suoi concittadini lo criticano. Sostengono che contadini di origini molto umili, privi di un'istruzione di base e con "scarsa intelligenza" non siano in grado di comprendere la lezione dell'ingegnere. Olivetti la pensa diversamente:

“Secondo me, non c'è una chiara divisione tra lavoro manuale e intellettuale che ad alcune persone piace credere. Tutti i lavori, se fatti bene, richiedono più o meno uno sforzo dell'intelligenza, e il lavoro del falsario più di tanti altri, non esclusi alcuni di quelli che si chiamano intellettuali”.

Ivrea, La fabbrica di mattoni rossi, 1895

La verità è che il forte spirito imprenditoriale gli stava offrendo uno sguardo al futuro: presto l'Italia avrebbe avuto bisogno di una fabbrica di componenti e strumenti elettrici. Il Piemonte di quel tempo, però, non aveva molto da offrire in termini di manodopera qualificata, così Olivetti decise di crearlo lui stesso, formando ex novo i contadini della zona. Nel frattempo fa la conoscenza di Filippo Turati, che nel 1892 aveva fondato il Partito Socialista Italiano. È un incontro chiave nella vita dell'ingegnere che fin da giovane aveva abbracciato quegli stessi ideali e ne era stato uno dei primi membri. Con la lista del PSI si presentò anche alle elezioni amministrative dell'ottobre 1894, scartando solo 145 voti su 559 votanti e 2487 aventi diritto. Lo considera un fallimento e attribuisce gran parte della sconfitta alla mancanza di una cultura socialista profondamente radicata nell'area, che è ancora troppo immatura. Nel 1896 realizzò il progetto iniziato due anni prima. Si aprono le porte di “Camillo Olivetti & C”. Nella sua Ivrea, con i suoi operai.

Adriano, 24 anni - Il viaggio negli States e la fuga di Turati

Dopo un anno di lavoro come operaio anche per Adriano è il momento del "viaggio della maturità" nella patria del progresso e della tecnologia, gli Stati Uniti. Si imbarcò nell'estate del 1925 e raggiunse New York, nel pieno dei ruggenti anni '20. Adriano mostra subito una sensibilità diversa da quella del padre, inguaribilmente entusiasta delle tecnologie e delle innovazioni. Nei suoi appunti mescola sociologia, management e organizzazione aziendale. Vuole capire cosa rende grande l'industria statunitense per poter tradurre i concetti anche a Ivrea. Nei successivi cinque mesi visita un centinaio di stabilimenti lungo la costa orientale degli Stati Uniti. Corona, Remington, General Electric, le officine Ford... ma non Underwood. La principale azienda produttrice di macchine da scrivere al mondo nega infatti l'accesso ai propri stabilimenti all'erede della Olivetti, che si era già immessa sul mercato con diversi modelli. Adriano la considera una battuta d'arresto di proporzioni bibliche, e la prende sul personale (emotività che lo porterà nel 1959 ad acquisire un Underwood ormai in totale declino). È colpito dall'organizzazione delle aziende, dal loro modo di risolvere i problemi e dalla radicale propensione all'innovazione. I suoi giudizi sulla società americana sono molto meno indulgenti:

“Prima di venire in questo Paese mi sono illuso, un po' per l'impressione di ottimismo di papà, un po' per alcune manifestazioni esteriori, che nel complesso l'America fosse un Paese civile, mentre invece è solo ricco. La politica dell'infanzia, con i sistemi di corruzione che sono diventati un metodo di governo costante”

Il dollaro negli Stati Uniti è un "dio", dice. Sente la mancanza di una cultura intellettuale nella società, che invece trova e riconosce in Europa. Dove torna, nel 1926. In Italia lo attende un clima caldo. Mussolini sta mettendo sempre più alle strette i suoi avversari. Tra questi c'è Filippo Turati, fondatore del Partito Socialista Italiano. Ormai settantenne e in condizioni di salute critiche, la sua casa milanese è costantemente monitorata dalla polizia. L'aria è cattiva. Dopo l'ennesimo rifiuto della polizia di concedere il passaporto, il leader socialista decide di lasciare il Paese. Anzi per fuggire in Corsica. La notte del 21 novembre è scelta: Carlo Rosselli lo porta a casa di Giuseppe Levi a Torino. Pochi giorni dopo un'auto è venuta a prenderlo, trasferendolo all'abitazione del dirigente dell'Olivetti Giuseppe Pero, a Ivrea. Tra gli uomini in impermeabile all'interno dell'auto c'è anche Adriano Olivetti: Turati è un amico di famiglia. Portano il socialista a Savona, poi a Quiliano (dove li raggiunge Sandro Pertini), poi a Vado Ligure. Adriano esplora la costa con Ferruccio Parri e Pertini. Come d'accordo arriva il motoscafo che porta Turati in Corsica. Dopo l'azione, Olivetti si nasconde per un anno e mezzo in casa Levi, dove approfondisce la conoscenza di Natalia Levi (poi Ginzburg) e soprattutto di Paola Levi, sua futura moglie. Nonostante la pericolosa operazione, il nome di Adriano Olivetti non è citato in nessun documento di prefetture e ministeri.

"Sandro Pertini racconta come è stata organizzata la fuga di Filippo Turati"

Camillo, 40 anni - La prima macchina da scrivere

È il 1908. Sono trascorsi dodici anni dalla fondazione dell'Olivetti e nove dal matrimonio con Luigia Revel. In quel periodo la fabbrica si era trasferita a Milano, prendendo il nome di CGS (Centimetro-Grammo-Secondo) e specializzandosi in apparecchiature elettriche e trasformatori. Un'azienda apprezzata a livello internazionale che attrae capitali e distribuisce il 15% dei suoi utili ai lavoratori (pagati a ore e non a cottimo), ma non riesce più a soddisfare la fame di innovazione dell'ingegner Olivetti. Troppi investitori, compresi quelli stranieri, di cui tenere conto. Troppi partner con cui condividere la guida. Una produzione troppo, decisamente troppo standard per i suoi gusti. Dobbiamo cambiare. Affida la gestione della CGS all'amico Dino Gatta e torna a Ivrea, nella "Fabbrica di mattoni rossi", con il fidato ingegnere Domenico Burzio e una piccola selezione di operai canavesani. L'Olivetti non è guidata da un obiettivo, ma da un sogno: produrre macchine da scrivere. Non solo, producendoli meglio di Remington, il top del settore in quegli anni. La famiglia si trasferì nel convento di San Bernardino e il 29 ottobre la nuova società in accomandita semplice “C. Olivetti & C ”,“ la prima industria di macchine da scrivere italiana ”.

Francobollo celebrativo del centenario della prima fabbrica italiana di macchine da scrivere Olivetti, emesso da Poste Italiane il 12 febbraio 2008

Camillo non ha fretta. Non è in CGS, dove gli ordini devono essere evasi sulla base di un catalogo prestabilito. Qui bisogna inventare, ma si parte da una buona base: da anni è appassionato del settore. Studia e seziona tutti gli angoli oscuri della produzione dei futuri competitor. Progetta tu stesso la meccanica del prodotto. Preferisce dare tempo ai suoi dipendenti, stimolato nella ricerca e nello sviluppo piuttosto che limitato a compiti meccanici e seriali. Ma alla fine arriva. Nell'agosto 1909 uscì il prototipo della Olivetti M1, la sua prima macchina da scrivere. L'industria italiana mormora. Nel 1911, all'Esposizione Internazionale dell'Industria e del Lavoro di Torino, l'Olivetti presenta ufficialmente il prodotto. L'auto è nera, sobria ed elegante allo stesso tempo. Poco dopo l'azienda si aggiudicò un contratto dalla Royal Navy per cento unità: sono preferite alla Remington per la "docile dattilografia delle chiavi". Gli ordini arrivano anche dal Ministero dell'Interno e dalle Poste Italiane. Il fatturato si allarga. Ha bisogno di capitali ma per non affidarsi alle banche vende alcuni terreni e appartamenti di famiglia ereditati dalla madre nel centro di Ivrea. Gli dà una mano anche la rete di conoscenze degli esponenti della finanza e dell'imprenditoria ebraica locale. Nel 1913 ha centoventi operai a libro paga, arriva a mille copie e ha creato una rete di filiali in varie città italiane (Milano, Roma, Napoli e Genova tra le altre). Niente e nessuno sembra poter interrompere il decollo dell'Olivetti. Sembra, perché poi il 28 giugno 1914 a Sarajevo Gavrilo Princip esplode diversi colpi di pistola verso l'erede al trono d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando d'Asburgo. È casus belli. Tutte le tensioni che si sono accumulate nel continente nei decenni precedenti si liberano come un terremoto. È la guerra mondiale, e non si sa ancora se l'Italia parteciperà o meno.

Adriano, 31 anni - La tessera fascista di un antifascista

Una macchina da scrivere piccola, leggera ed economica. È un'idea che Adriano non riesce a togliersi dalla testa. L'azienda di Ivrea è oggi una delle istituzioni industriali italiane, con sedi in tutto il mondo. Sperimentare non solo è possibile: deve. Con l'aiuto dei tecnici dell'azienda (Riccardo Levi su tutti) e dei designer Aldo e Adriano Magnelli, nel 1932 nasce la MP1. La prima macchina da scrivere portatile Olivetti. Pesava meno di un terzo ed era la metà dell'altezza della M1, il primo modello. Viene prodotto in sette diversi colori, pesa “soli” 5 chili ed è rivolto anche alla clientela privata. Con questo progetto Adriano Olivetti fa emergere tutte le conoscenze di marketing, psicologia e organizzazione aziendale (che aveva contribuito a ridisegnare da cima a fondo, aumentando notevolmente la produttività) maturate durante i suoi viaggi e grazie alle sue voraci letture. Il progetto rappresenta anche la tesi ideale da presentare ai vertici dell'azienda e al padre Camillo per laurearsi direttore generale dell'azienda, incarico che avvenne l'anno successivo, nel 1933. Un anno fondamentale del ventennio fascista . Il 27 maggio 1933, infatti, Mussolini impose con decreto l'iscrizione al Partito Nazionale Fascista (PNF) a chiunque volesse intrattenere rapporti economici con l'amministrazione dello Stato. Un problema per l'Olivetti, per il quale gli appalti statali, soprattutto in anni in cui l'intera produzione industriale italiana finiva sotto il cappello del governo, rappresentavano una quota considerevole delle entrate. L'ultimo giorno disponibile Adriano Olivetti acquisisce la tessera del Partito Fascista, numero 530378. Negli anni successivi scrive per diverse riviste come “Lavoro fascista”, “L'Ordine corporativo” e “Quadrante”. Sono anni di transizione per lui. Il matrimonio con Paola Levi, ad esempio, è morto da tempo e si chiuderà definitivamente nel 1938. Adriano scarica tutta la sua passione nell'universo che circonda la “fabbrica”. Si avvicina agli architetti della scuola di Le Corbusier, mosso da quel razionalismo che, in parte, il regime aveva abbracciato negli anni. Progetta una rivoluzione urbana a Ivrea. Vorrebbe una città progettata su criteri di efficienza e discontinuità rispetto al piano storico della città. Il piano estremamente ambizioso e di grande impatto viene dimenticato. Arrivò addirittura a presentare allo stesso Duce un nuovo piano urbanistico per la città di Aosta, ma anche questo fu scartato. Adriano si illude di poter trovare nel governo vigoroso e centralizzato di quell'Italia una banca per i suoi grandi progetti di rinnovamento della società. Ma da quelle altezze è amaramente deluso. Le divisioni nella società si stanno approfondendo. Anzi lacerante. Gli eventi accelerano e si susseguono velocemente, passo dopo passo. Quasi senza accorgersene, il 14 luglio 1938 fu pubblicato il "Manifesto della corsa". Gli ebrei sono di fatto esclusi dalla società. Il 30 agosto di quell'anno, il parroco di Ivrea Arturo Vinay procurò ad Adriano un certificato di battesimo valdese (la religione della madre Luigia Revel) per sfuggire alle restrizioni riservate agli ebrei. Pochi mesi e scoppiò la seconda guerra mondiale.

"La dichiarazione di guerra restaurata dall'Istituto Luce-Cinecittà in collaborazione con Lazio Film Production Lab"

Camillo, 62 anni - Una fabbrica di operai, per i lavoratori

Nel 1930 Olivetti corre sulle ali dell'entusiasmo. Nella tragicità della prima guerra mondiale, Camillo seppe trovare il lato positivo grazie al suo estro imprenditoriale e alla sua incomparabile energia. Se all'inizio della guerra fu costretto a chiedere ai dipendenti di lavorare gratuitamente (in realtà furono loro stessi a decidere di non riscuotere lo stipendio), durante il conflitto l'Olivetti si trovò a produrre giroscopi per siluri, proiettili, canne per fucili, magneti. e altri componenti utilizzati dagli eserciti. Dopo la crisi del 1919-1920, l'azienda era decollata. Camillo Olivetti, 62 anni, può ora vantare una filiale spagnola dell'azienda, Hispano Olivetti di Barcellona, ​​nonché filiali in tutto il mondo - tra cui Montevideo e Buenos Aires - in cui vendere e allo stesso tempo fornire un servizio clienti , un elemento chiave della strategia di mercato dell'azienda. È l'anno dell'uscita della M40, la macchina da scrivere che l'azienda produrrà fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Come al solito, Camillo e suo figlio Adriano non tengono per sé tutti i guadagni, decidendo di investirli nella comunità. Vicino allo stabilimento di Ivrea c'è Borgo Olivetti, la casa popolare su tre piani per ventiquattro famiglie, più un complesso di sette case per altrettante famiglie. L'Olivetti vanta anche un asilo nido aziendale e un'assistenza sanitaria di fabbrica comprendente un'infermeria e la presenza costante di un medico e di un pediatra: l'assistenza sanitaria non si limitava ai dipendenti ma si estendeva anche ai familiari. Per non parlare della settimana di ferie in più nel 1935 e del servizio bus nel 1937. La chiave è sempre la stessa: mantenere negli anni operai e dirigenti formati in azienda grazie a un ambiente di lavoro sano e basato sulle esigenze. degli impiegati. Nel 1938, all'età di settant'anni, Camillo Olivetti lascia la presidenza dell'azienda che aveva fondato tre decenni prima.

Adriano, 44 ​​anni - Ritorno a Ivrea e scoperta dell'America

Il 15 maggio 1945 Adriano Olivetti torna a Ivrea dopo un anno e mezzo di esilio in Svizzera, dove era fuggito per sfuggire alle perquisizioni del regime. Pochi di quelli che trovano all'interno della fabbrica sanno che durante la guerra Adriano aveva preso il nome di "Brown", nome in codice datogli nientemeno che dalla CIA. Sì, Adriano Olivetti era in stretto contatto con i servizi segreti americani e alleati, lavorando segretamente a un piano per rovesciare il regime fascista. Li incontrava periodicamente a Berna, dove aveva allacciato rapporti con Allen Dulles, direttore dell'OSS (Office of Strategic Services). Era diventato a tutti gli effetti un agente segreto, un cospirazionista, mentre con la sua compagnia riforniva l'esercito italiano di componenti belliche. Nel luglio 1943, però, un suo biglietto destinato agli Alleati fu intercettato dal regime e il 30 luglio Adriano fu imprigionato a Regina Coeli, a Roma, con la sua segretaria Wanda Soavi. Grazie all'aiuto di amici e familiari riuscì a far cancellare il suo nome dal registro degli indagati e ad essere scarcerato il 22 settembre 1943, appena due giorni prima che il carcere venisse consegnato ai tedeschi. I ministeri, ignari della sua liberazione, avviarono la caccia all'uomo: l'8 febbraio 1944 Adriano Olivetti fu costretto a lasciare il Paese di nascosto.

Ma ora è tornato nella sua Ivrea e la guerra è finalmente finita. Trova una città quasi intatta. Risparmiata dai bombardamenti in quanto periferica rispetto ai maggiori centri nevralgici del Nord. Anche la fabbrica è ancora lì, anche se era vicina: si narra che nel gennaio 1945 il comando militare tedesco di Vercelli avesse ordinato di minare la fabbrica - fino ad allora di importanza strategica - per distruggerla. Furono fermati da una cospicua somma di denaro consegnata ad un alto ufficiale tedesco da Giuseppe Pero, Giovanni Enriques e Gino Martinoli (i tre a cui era stata affidata la direzione dell'azienda durante l'assenza di Adriano). Dopo il ritorno di Adriano, l'Olivetti non perde tempo. In quell'anno uscì Divisumma 14, la prima calcolatrice di scrittura al mondo in grado di eseguire tutte e quattro le operazioni. Con il sostegno del governo e gli aiuti internazionali del dopoguerra, la compagnia torna a volare. Tra il 1947 e il 1951 il capitale sociale aumentò di dieci volte. L'azienda non torna a produrre vecchi modelli ma li ridisegna da zero. Arrivano la Lexikon 80 e nel 1952 la Lettera 22, macchina da scrivere che funge da testa di ariete per il mercato americano. L'Olivetti sta conquistando il mondo intero, e Remington forse per la prima volta inizia a tremare.

"Archivio Nazionale del Cinema d'Impresa Giorgio Ferroni, 1950. Panoramica su Ivrea e gli stabilimenti Olivetti tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta"

Camillo, 75 anni - La fuga e l'epilogo

Una mucca e un maiale da 196 libbre. Camillo Olivetti deve aggrapparsi a questo per sfamare la sua famiglia all'inizio del 1943. L'uomo che aveva fondato l'Olivetti. Un'azienda innovativa che è diventata leader nel settore delle macchine da scrivere. Capace di coniugare le esigenze aziendali con l'attenzione alla classe operaia, facendo vivere a Ivrea una nuova ed esclusiva rivoluzione industriale. Lui stesso è aggrappato a una mucca e un maiale di 196 chili. L'artrite non gli dà pace. Né al corpo né alla mente. Vorrebbe essere lo stesso Camillo di sempre. Instancabile ed energico, sempre guardando avanti. Questa volta non può, ea marzo si avvicina al collasso. È esausto, non riesce più nemmeno a tenere gli occhi aperti. È costretto a letto, in cui dorme quasi continuamente per oltre due settimane. Dopo questo episodio sintomatico di esaurimento fisico e mentale, decide di passare un giorno alla settimana a letto, completamente a digiuno (inutile nasconderlo, anche per risparmiare cibo). È il quarto anno intero di guerra. A luglio gli Alleati sbarcano in Sicilia e iniziano a scalare la penisola. L'8 settembre viene firmato l'armistizio di Cassibile. L'alleanza con la Germania nazista cessa di esistere e nasce la Repubblica Sociale Italiana (dipendente da Berlino). Le truppe tedesche, insieme a quel che restava dei ranghi fascisti, iniziarono a vagare per la fabbrica Olivetti di Ivrea. Quella sorta di tregua tacita tra Mussolini e la fabbrica fondata da un uomo di origini ebraiche che aveva permesso all'azienda di continuare a lavorare (anche se strategica) sembra essere giunta al termine. Le visite dei nazisti si moltiplicano e la salute di Camillo peggiora. Sarebbe pronto ad affrontare un possibile assalto alla fabbrica, e con lui ci sarebbero i restanti dipendenti. Uno scenario tanto eroico e poetico quanto impraticabile. La moglie Luigia e gli amici giungono a una conclusione: devono fuggire prima che i tedeschi lo trovino. In autunno viene (probabilmente) nascosto su un carro trainato da cavalli che lo porta in collina. Si ferma a Pollone, un piccolo paese del biellese, dove alcuni contadini lo tengono nascosto in casa. La sua salute continua a peggiorare. Lo portano all'ospedale di Biella.

Il 4 dicembre 1943 Camillo lasciò questo mondo.

Quando a Ivrea si apprende che l'ingegner Olivetti è morto, una marea di operai, tecnici e conoscenti parte per Biella. Chi in bicicletta, chi in carrozza, chi addirittura a piedi. Volevano esserci, nonostante tutti i rischi di quei giorni. È il tributo di ciò che la sua gente è sempre stata. Che ha portato il proprio rispetto a chi, rispetto, non ha mai mancato di portarlo.

Adriano, 59 anni - L'ultimo treno di un progettista ferroviario

Il 27 febbraio 1960 Adriano Olivetti è sul treno che lo sta portando a Losanna. Puoi immaginarlo guardando fuori dalla finestra. Appena due giorni prima, il cda dell'Olivetti ha dato il via libera all'acquisizione di Underwood. La stessa azienda che durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti, negli anni '20, gli aveva chiuso i battenti in faccia impedendogli di visitare gli stabilimenti. Ora sarebbe la sua e l'azienda di Ivrea, presente in tutto il mondo con circa 36mila dipendenti complessivi. L'Olivetti, azienda multinazionale famosa per la qualità dei suoi prodotti e per l'estetica che li accompagna. Adriano, appassionato di architettura, conosce l'importanza di curare la forma oltre che la sostanza. Gli showroom Olivetti sono oggi mostre d'arte contemporanea prestate al marketing. Ce n'è uno in Piazza San Marco a Venezia, con marmi, vetri di Murano e mosaici. Anche a Roma, Milano, Barcellona e Parigi (con elementi tubolari che scendono dal soffitto per ricongiungersi alla schiera delle macchine da scrivere). Per non parlare del negozio che amava di più, quello di New York, tra la Fifth Avenue e la 48th Street. All'interno si potevano trovare marmi rosa e verdi, lampade in vetro di Murano e un murale di Costantino Nivola in "fusione di sabbia" (che alla chiusura del negozio nel 1970 sarà trasferito allo Science Center dell'Università di Harvard). All'esterno dello showroom si trova una colorata Studio 44, macchina da scrivere commercializzata nel 1952. Si stima che nei primi dieci mesi in cui fu esposta, nel 1954, circa 50mila persone si fermassero a digitare qualche parola. Time lo chiama "il miglior negozio sulla Fifth Avenue". Olivetti è a tutti gli effetti un'icona dello stile italiano. A Ivrea, invece, da tre anni i magazzini di produzione sono controllati dall'Elea. Prototipi di calcolatori elettronici sviluppati dal gruppo di lavoro guidato dall'ingegnere Mario Tchou in collaborazione con l'Università di Pisa. Per un anno Olivetti poteva vantarsi di aver commercializzato il primo processore commerciale a transistor al mondo, l'Elea 9003, che fu subito acquistato anche dalla banca Monte dei Paschi di Siena. L'inizio dell'età d'oro dell'azienda, a cui Adriano non potrà mai assistere con i propri occhi. Perché Adriano Olivetti non ci arriverà mai a Losanna.

Un'emorragia cerebrale lo porta via poco dopo che il suo carro ha attraversato il confine svizzero, ad Aigia. Una morte ancora oggi avvolta nel mistero. Da una parte chi crede nella "morte naturale", dall'altra chi sostiene che si sia trattato di un omicidio (così come quello dell'ingegnere Tchou l'anno successivo, morto in un incidente d'auto), da qualcuno che ha fatto non condivideva il posizionamento geopolitico dell'Olivetti, che si stava aprendo al mercato “rosso” dell'Unione Sovietica e della Cina, portando con sé l'americano Underwood, oltre al progresso tecnologico dell'azienda. Certamente era la fine della prima era Olivetti. Quella pionieristica e affascinante, che ha superato due guerre mondiali e ha permesso a Ivrea di competere (quasi) per diversi decenni ad armi pari con aziende molto più strutturate e finanziate come IBM. Una storia tutta italiana, fatta di ingegno, tenacia, umiltà e capacità di fare sempre di necessità virtù. La storia di Camillo e Adriano Olivetti.

"Una notte canavesana: così perfetta nel ripetersi da dissolversi nelle sue mille forme passate e cancellarla, e così perfetta nel suo essere presente che si profila come un'apparizione fatta di mille apparizioni, ognuna come incantevole com'è destinato ad esserci e basta: puro disegno di necessità del mondo"

Pier Paolo Pasolini - Petrolio, Esattamente 10 Quater

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