Trend. XXI edizione, festival a Roma

2022-10-14 18:25:32 By : Mr. Bruce Hu

I contenuti della XXI edizione di Trend. Nuove frontiere della scena britannica sono stati per la gran maggior parte decisi prima del 24 febbraio 2022, ed è deducibile che una programmazione messa a punto successivamente, a invasione russa dell'Ucraina avviata, avrebbe forse almeno in parte iniziato ad accogliere alcune forme di tempestivo instant-theatre sociale, emergenziale e bellico, in considerazione della drammaturgia inglese sempre pronta a riflettere gli scossoni interni e internazionali che si registrano oltremanica. Premesso questo, mentre alle tragedie climatiche, pandemiche ed economiche s'è aggiunta la calamità della guerra, il nostro festival tiene per suo conto la barra dritta su una cinquina di seri, profondi, dilanianti problemi che potremmo così sintetizzare: i sentimenti umani mai riconosciuti e negati, i rapporti di convivenza comunitaria a rischio, le controversie contemporanee di genitorialità e figlitudine, l'ardua e complessa identità dell'essere giovani, e (due casi di angosce e allarmi preesistenti all'oggi) narrazioni legate a conflitti mortali o a carestie. Sedici testi, nel nostro programma di due mesi, che non danno tregua, non confortano, prospettano solo minime vie d'uscita. A declinare la difficoltà dell'amore sono Simon Bovey, Jez Butterworth, Rob Drummond, Mark Farrelly, Michael Mclean, delle relazioni Chris Thorpe, Matt Wilkinson, Bryony Lavery, di genitori e figli Charlie Josephine, David Harrower, Suhayla El-Bushra, delle nuove generazioni Morgan Lloyd Malcom, Anna Jordan, Penny Skinner, e di conseguenze della guerra Claire Dowie, Henry Naylor. Determinante è il sostegno a Trend da parte di Ministero della Cultura, Regione Lazio, Comune di Roma. Buone visioni.

dal 20 al 23 ottobre ore 21 TESTIMONY di Simon Bovey regia Armando Quaranta con Jacopo Olmo Antinori, Giulio Forges Davanzati e Maurizio Mario Pepe scene e costumi Nicola Civinini light design Alessio Pascale traduzione Natalia di Giammarco produzione Khora Teatro in collaborazione con La forma dell'acqua

Sinossi Quando Kelly Anders scompare nel nulla sono in molti a pregare che riappaia magicamente. In polizia, però, si ricorre alle preghiere, quando non si sa più che pista seguire. "Sai che ho perso il conto delle volte che ci siamo ritrovati qui? Ogni volta però è la stessa storia, cominci facendo l'arrogante e finisci con la coda fra le gambe". Non è la prima volta che il tenente Trent, i cui anni in polizia iniziano ad essere più di quelli che gli mancano alla pensione, si rivolge così a David Vincent, seduto su una sedia con le manette ai polsi. Il giovane sergente Harris ne ha meno di anni di esperienza ma ha studiato abbastanza da sapere come affrontare un interrogatorio. David Vincent in carcere ci è già stato: il suo passato è pieno di motivi per essere stato svegliato all'alba e trascinato in commissariato. Il suo presente, grida lui però con fermezza, è pulito, onesto e figlio di una faticosa redenzione. I tre protagonisti, tra scontri dialettici, piste da seguire, accuse e giustificazioni, si parlano tra le quattro mura del commissariato, mossi dalla stessa certezza: ogni interrogatorio ha una storia a sé, un suo svolgimento e, a volte, con un po' di mestiere e di fortuna, può portare -inquirenti e inquisiti- alla verità.

Note di regia Una lampada al neon illumina il tavolo e le sedie di una sala degli interrogatori di un piccolo commissariato. I tre personaggi, nello spazio freddo e neutro della stanza, sono mossi dal loro ruolo: i due poliziotti, "comodi" nella loro posizione, incalzano il fermato con la maestria di chi conosce il proprio lavoro; l'interrogato è spaventato e preoccupato e prova a schivare abilmente ogni insinuazione. Le emozioni e le intenzioni dei personaggi sono condizionate da eventi interni: la dinamica dell'interrogatorio e la distinzione dei ruoli, e da eventi esterni: la scomparsa della ragazza e le informazioni fornite dagli investigatori. I tre personaggi subiscono il tempo che scorre lontano dalla luce del sole senza che si venga a capo del caso, provando frustrazione e mettendo a repentaglio i propri nervi. Partendo da una dinamica puramente poliziesca e passando tra le convinzioni e le paure dei personaggi, sarà la tenuta psicologica dei tre a condizionare il finale.                                                                                                                 Armando Quaranta

dal 25 al 27 ottobre ore 21 THE RIVER di Jez Butterworth regia Alessandro Federico con Silvia Aielli, Alessandro Federico e Mariasole Mansutti aiuto regia Simonetta Solder consulenza costumi Lucia Menegazzo luci Alessio Pascale traduzione Massimiliano Farau e Laura Mazzi produzione Proprietà Commutativa

Sinossi In una Baita vicino ad un fiume vive un uomo appassionato di pesca. Un uomo che ama profondamente le donne che vivono con lui, di un amore vero, unico, profondo e totalizzante. Ma quante sono queste donne? Quale ama più delle altre? O forse sono tutti surrogati di un vero Amore che non c'è più? Tra ami, esche e menzogne la storia si distorce e contorce, il mistero si infittisce e nessuno capisce quello che veramente sotto il fiume sta accadendo.

Note di regia Un testo che ho amato da subito, e ancora mentre lo studio e lo allestiamo e lo vivo da dentro e da fuori mi riempie di curiosità, di mistero! Ed è quello vorrei succedesse al pubblico quando lo vedrà. D'istinto ho scelto il testo, e d'istinto sto continuando a scegliere la via per raccontarlo. Senza tornare indietro. Da una storia così si prova a tornare indietro ma non si riesce! Perché il grosso forse è già successo! Il peso da sopportare è tanto! Ma i tentativi per stare a galla e non sprofondare sono tanti, a volte stupendi; stupendo e violento come l'amore tra un uomo e una donna! Mentire è l'unica strada, l'acqua è torbida e noi ci sguazziamo!                                                                                                             Alessandro Federico

dal 29 al 30 ottobre (2 recite doppie alle ore 19 e alle 21) THE OH FUCK MOMENT (Il momento del cazzo) di Chris Thorpe regia Nicoletta Robello con Maria Alberta Navello e Dario Iubatti traduzione Jacopo Gassmann produzione Regia Academia

Chi non ha mai vissuto quel singolare momento in cui diventa chiaro che non ci sia più nulla che possa rimediare a quanto si è appena detto o fatto? Imbarazzo, confusione, voglia di scomparire, in un attimo capiamo che da quel momento in poi nulla sarà più come prima. Sintetizzando diciamo di avere fatto una 'cazzata' e definiamo come 'momento del 'cazzo' quell'attimo che prescinde dalla nostra volontà e dal nostro controllo.

'Il momento del cazzo' è un game interattivo per 25 spettatori che, riuniti intorno ad un tavolo per un caffè da una coppia di addetti alle 'risorse umane', partecipano ad un incontro particolare e intimo nel corso del quale scopriranno un nuovo modo di considerare gli errori. E' una specie di confessione degli attori e del pubblico, ma nessuno verrà obbligato a dire o a fare alcunchè. L'obiettivo è unicamente quello di riconoscere che «sbagliare» è il concetto più intimamente umano che esista.

Il lavoro è affidato interamente alla performance degli attori ed è pensato per essere realizzato in spazi non convenzionali. Nessuna scenografia né luci di scena. Solo un tavolo con 27 sedie intorno al quale gli spettatori saranno invitati a sedersi, tazze da tè, qualche foglio e cartellina, il modellino di un aereo. Il dispositivo è firmato di Chris Thorpe, scrittore e attore inglese, ad oggi una delle voci più originali del teatro britannico, e si interroga sul comportamento umano ponendo alcune semplici ma ingannevoli domande ad esso sottese.

1/2 novembre ore 21 PSYCHODRAMA di Matt Wilkinson regia Valerio Mieli con Valentina Virando creazioni video Giulio Cavallini luci Davide Rigodanza traduzione Monica Capuani produzione Proprietà Commutativa

Un'attrice che non lavora più. Fino a qui nulla di strano. Un'attrice talentuosa che ha raggiunto quell'età in cui il telefono smette di suonare. Lavora in un negozio, in attesa. In attesa che arrivi una telefonata, quella che ti cambia la vita. Un giorno la telefonata arriva davvero. C'è un provino importante, con il regista più bravo della sua generazione. Una trasposizione di Psycho – sì quello Psycho, il film, il capolavoro di Hitchcock – a teatro. E lei è perfetta per interpretare Marion. Il provino va molto bene, il regista la vuole rivedere, vuole creare il personaggio insieme a lei. Un'infinità di piccole coincidenze, di segni determinanti, iniziano a collegare - a intrecciare - la sua vita con quella del capolavoro di Hitchcock, ne confondono i confini. Ma sarà tutto reale? Oppure è solo il desiderio a far credere alla nostra protagonista che finalmente diventerà la protagonista della propria vita, che davvero per una volta verrà scelta lei, il suo talento?

C'è un Motel, c'è addirittura il barista del Motel che si chiama Norman, c'è un coltello, ci sarà un omicidio, questo è ovvio. Una rievocazione dei fatti asciutta, fredda, ironica, spostata, scivolosa. Una discesa inesorabile verso una zona molto pericolosa e nello stesso tempo affascinante della psiche umana. E tutto succede in un attimo, un attimo che poi possiamo rivalutare ripensare per un tempo dilatato, un momento che non smetteremo di indagare, attraverso un'infinita sequenza di inquadrature, quell'esatto momento in cui una scelta oltrepassa il limite. E indietro, non si torna. Le scenografie - disegnate - appariranno su tre pareti claustrofobiche che circondano la protagonista, e permettono al suo mondo di apparire e scomparire a suo piacimento. Un mondo tutto dipinto creato dalla sua mente.

dal 4 al 6 novembre ore 21 POPS di Charlie Josephine regia Massimo Di Michele con Eleonora Bernazza e Massimo Di Michele traduzione Natalia di Giammarco e Enrico Luttmann produzione Smart It

Un padre e una figlia. Un incontro. Uno scontro fra due visioni della vita, un continuo grido di aiuto inascoltato. Charlie Josephine ci propone un viaggio nella mente tormentata di due persone che nonostante provino a modo loro a superare una grande perdita, rimangono bloccate nella loro condizione di sofferenza. La stessa relazione fra i personaggi sembra essere completamente compromessa dal dolore: entrambi vedono l'altra persona come una degenerazione di quello che erano un tempo e sembrano al tempo stesso impauriti e disgustati dal loro interlocutore.

In un continuo ripetersi della stessa situazione, che prende direzioni diverse a seconda delle risposte dei protagonisti, lo spettatore è spinto a domandarsi come l'essere umano possa distruggere un legame quasi idilliaco gettandosi nella dipendenza da alcol. Non si riesce mai a raggiungere un compromesso fra i due, nemmeno quando le tesi portate avanti coincidono fra di loro: c'è sempre una diffidenza di fondo, una voglia a non essere sottomesso, una feroce lotta per la sopravvivenza.

Ed è proprio la sopravvivenza il fulcro della storia: non più vita, ormai distrutta e priva di sogni, ma inerzia nell'andare avanti, ripetendo costantemente le stesse azioni o cercando espedienti.

dal 7 al 9 novembre ore 21 THE WASP di Morgan Lloyd Malcolm regia Piergiorgio Piccoli con Guenda Goria e Miriam Galanti musiche Federico Pelle sculture Giovanni Grey Grigoletto tecnica Siaidee di Claudio Scuccato assistente alla regia Anna Farinello foto Giuseppe Gradella traduzione Enrico Luttmann produzione Theama Teatro

La Vespa è un thriller psicologico, caratterizzato da un linguaggio tagliente e diretto, così come la creatura da cui è ispirato il titolo. La Vespa non è affatto un testo garbato, bensì una storia pungente, violenta, a volte divertente e spesso dolorosa. Un esemplare raro di quest'insetto avvelena la tarantola, la paralizza e depone le sue uova nel corpo della vittima per poi diventare ospite parassitario e incubatrice per la piccola vespa che, crescendo, ne mangerà poco a poco l'interno fino a quando non sarà pronta per uscire. Anche se non si corre il rischio di provare il dolore fisico provocato dalla puntura della vespa, o della stessa tarantola, si ritrova la stessa tensione per la sopravvivenza anche tra le due protagoniste. Ma la domanda è: chi è la vespa e chi il ragno? Erica e Carla non si vedono dai tempi della scuola. Le loro vite hanno avuto dei percorsi molto diversi: Carla vive alla giornata, mentre Erica è una donna in carriera, con un marito e una bella casa. Sono in un bar, bevono tè e intrattengono una strana conversazione fino a quando Erica non esibisce una borsa contenente una considerevole somma di denaro: la ricompensa per un'inaspettata richiesta. Da qui un dialogo serrato, tagliente, una tensione crescente che lascia lo spettatore senza fiato. La puntura de La Vespa non è tanto basata su cosa succederà, ma su perché succederà. Quale sarà il susseguirsi logico degli accadimenti? Ad un certo punto si crederà di avere sufficienti informazioni sulla situazione delle due protagoniste e sulla loro storia, ma nel corso dello spettacolo, un po' alla volta, ci si renderà conto di avere solamente scalfito la superficie del loro vissuto. L'amicizia tra classi sociali diverse, la realizzazione attraverso la maternità, il rapporto di coppia, la sessualità, sono alcuni dei temi che muovono la psiche delle due donne e con i quali lo spettatore non potrà evitare di confrontarsi. Ed ecco poi apparire, nell' evolversi della vicenda, lo spettro dei disturbi mentali legati alla violenza domestica e all'abuso sessuale, in una dolorosa esplorazione dei modi in cui l'essere umano, riversando la propria sofferenza sull' altro, alimenta un ciclo perpetuo delle crudeltà reciproche. Ripercorrendo all' indietro il filo rosso del cinismo, della frustrazione o dell'invidia, sarà evidente il riferimento esplicito al problema del bullismo giovanile, questa volta fra donne, e della violenza di genere. Eppure, nelle differenze tra Erica e Carla si intravede una breccia di speranza: la scelta tra gentilezza e violenza è sempre possibile.

dall'11 al 13 novembre ore 21 THE BELIEVERS I buoni vicini di Bryony Lavery regia Gianluca Iumiento con Valentina Carli, Giuseppe Tantillo Maria Sand, Gianluca Iumiento e Paolo Leccisotto alle percussioni e batteria scenografia Jessica Koba tecnico luci e audio Valerio Bucci aiuto regia Veronica Toscanelli traduzione Margherita Mauro Teatro del Loto - Teatri Molisani con PARA TEATER

I buoni vicini racconta la storia di due famiglie che si ritrovano insieme in una notte di cataclisma. Sbronzi, stanchi e sedotti dal flusso dell'alcol, lottano con le loro differenze finché, all'improvviso, accade l'impensabile. Qualcosa di incredibile e terribile. Mentre le loro versioni di ciò che è accaduto iniziano a sgretolarsi e le loro prospettive vengono offuscate dal sospetto, si rivoltano l'uno contro l'altra in una lotta disperata alla ricerca della verità. Il testo affronta in modo originale ed intelligente il tema del credere, di come spesso ognuno di noi costruisce le proprie credenze e di come queste possano schiacciarci nella quotidianità o addirittura portarci a desiderare la vita degli altri. Il testo non è un commento sulla religione, ma più una disamina attenta e minuziosa sul modo in cui arriviamo a riconoscere la verità. Da dove ci arriva la sensazione stessa che un'idea sia vera? Forse da una convinzione interna? È impossibile trovarla senza che qualcuno ce ne dia una conferma? E che ruolo ha nella creazione di tutto questo il nostro desiderio di conforto e rassicurazione? Queste sono alcune delle domande che cercheremo di portare in scena con la realizzazione di questo spettacolo. La scena, composta da Jessica Koba, sarà probabilmente realizzata da strisce di led animate da colori freddi e messe nello spazio in modo da tracciare i contorni di un distorto universo domestico. La composizione di questa immagine si rifarà al cubismo del pittore Pablo Picasso riportando un'immagine frammentata, decostruita o meglio osservata contemperante da più punti di vista. Con questa strategia visiva daremo vita sulla scena al dilemma interno dei personaggi, alla loro confusa e parziale memoria di ciò che davvero è accaduto, alla più intima verità che forse altro non è che la paradossale convivenza in contemporanea di tutti i punti di vista dei personaggi. Le strisce di LED si accenderanno e spegneranno andando a formare spazi nuovi, richiami di aree della casa, angoli angusti, porte socchiuse. Alcune volte l'alternarsi di queste luci avrà un ritmo intenso, dando vita alla tempesta, al cataclisma che costringe i personaggi a restare rinchiusi in questa villetta di periferia. Il movimento delle luci interagirà con il suono di una batteria, suonata in scena da un musicista, un solista, che sarà anche il narratore del testo. E sarà proprio questo strumento a scandire sia il suono della tempesta che quello del tumulto interno ad ogni personaggio. Lo spettacolo sarà una danza tra una recitazione intima e naturalista, un testo ritmico e ben orchestrato drammaturgicamente e una regia di chiaro impatto visivo.

16 novembre ore 21 CIARA, UNDRESSED SOLO di David Harrower regia Elena Serra con Roberta Caronia progetto video Portraits by Donato Sansone foto di scena Luigi De Palma hanno collaborato al progetto Isacco Venturini e Jacopo Valsania traduzione Monica Capuani produzione TPE - Teatro Piemonte Europa

Ciara è stato presentato in anteprima al Traverse Theatre di Edimburgo nell'agosto 2013, diretto da Orla O'Loughlin e interpretato da Blythe Duff, che vince per questa interpretazione lo Scotsman Fringe First Award e nel 2014, con la ripresa dello spettacolo, lo Scottish theatre Oscars. Il testo approda in Italia nell' ottobre del 2019 al Teatro Belli di Roma nella cornice di TREND nuove frontiere della scena britannica, su progetto di Valter Malosti che affida a Roberta Caronia e al pittore Giancarlo Savino coordinati da Elena Serra un primo studio. La fondazione Teatro Piemonte Europa in collaborazione con Compagnia di San Paolo produce lo spettacolo che debutta a Torino negli spazi del museo Area X nel marzo del 2022. Con questo ritorno a TREND vogliamo suggellare la chiusura di un lungo percorso affidando all'assolo di Roberta Caronia l'onere di trasmetterne la profondità. Ciara è una gallerista attenta e sensibile, una donna determinata che dirige un piccolo spazio a Glasgow riuscendo a ritagliarsi un posto di rilievo nel panorama dell'arte contemporanea grazie alla sua capacità di mantenere relazioni con l'alta borghesia della sua città e un rapporto autentico e profondo coi suoi artisti. Ciara è anche la figlia primogenita di un importante gangster, la moglie di un criminale in ascesa, la sorella di un tossicomane. Il testo penetra le contraddizioni della protagonista trascorrendo i personaggi e gli avvenimenti attraverso la lente del suo rapporto violento e travolgente con gli uomini della sua vita e in particolare con il grande pittore decaduto che lei riporta agli onori della cronaca, Alan Torrence. Ne emerge una figura epica intimamente contesa tra la tensione salvifica dell'arte e l'eredità della colpa incancellabile dei padri che ricade sui figli. La nemesi storica si incarna in Ciara suo malgrado, sullo sfondo di una città che le fa da specchio, infiltrata dalla mafia, pervasa da una ricchezza esibita di pochi e dall'invidia violenta di molti.

dal 18 al 20 novembre ore 21 IN FIDELITY In fedeltà di Rob Drummond ideazione, regia e interpretazione Roberto Rustioni assistente alla regia e alla drammaturgia Chiara Murru video Corrado Podda disegno luci Loic Hamelin tecnica e fonica Giorgia Mascia traduzione Chiara Fioravanti con la supervisione di Roberta Arrigoni produzione Sardegna Teatro residenza artistica Olinda/TeatroLaCucina

In fedeltà è un esperimento scenico giocoso in cui un performer/presentatore invita due persone single del pubblico - che non si devono conoscere tra loro - a costruire sul palco un primo appuntamento: un meccanismo che richiede la partecipazione e l'aiuto di tutti gli spettatori. Con leggerezza, partendo dalla biografia di Darwin e dalle sue teorie scientifiche, per poi arrivare ai siti d'incontro web, l'autore attraverso la continua interazione del performer con la platea si interroga sull'amore. È possibile non tradire mai? La fedeltà, la monogamia, è solo una strategia per garantire la sopravvivenza della specie? Si può mentire per amore? La scienza ci può essere d'aiuto o dobbiamo imparare ad accettare il mistero? Un game-show dal tocco leggero in cui due veri single del pubblico vivranno realmente un appuntamento al buio. Vedremo sbocciare il vero amore sul palco? Cos'è per voi l'amore? Un lavoro dal tocco leggero e empatico in cui tutti gli spettatori sono attivamente coinvolti. Qualunque cosa accada non sarà mai una serata noiosa. Regaliamoci la possibilità di innamorarci, a teatro.

dal 22 al 23 novembre ore 21 QUENTIN CRISP: NAKED HOPE La speranza è nuda di Mark Farrelly a cura di Ferdinando Bruni con Luca Toracca luci e suono Roberta Faiolo e Lorenzo Crippa assistente scene e costumi Roberta Monopoli sarta Ortensia Mazzei traduzione Matteo Colombo produzione Teatro dell'Elfo

La vita di Quentin Crisp, icona gay nel mondo anglosassone, comincia con una difficile giovinezza in cui per vivere si deve prostituire o, ben che vada, posare nudo nelle scuole d'arte. Deriso continuamente per il suo essere effeminato, Crisp viene ripetutamente molestato dalla polizia, insultato o, peggio ancora, picchiato. Proprio per difendersi da questa dolorosa situazione si costruisce nel corso degli anni una corazza fatta di intelligenza e di irresistibile distacco ironico. Arrestato per adescamento, si difende così: «Vostro onore, io non mi spingo agli estremi. Ci vivo. Mi vesto e vivo in modo tale che tutto il mondo capisca che sono omosessuale, e questo mi separa dal resto dell'umanita?, anziche? facilitarmi... A me il sesso illecito non interessa, anche perche? guardare il cavallo dei pantaloni di un uomo, dopo un po' diventa perfino più noioso che guardarlo negli occhi…» Come lui stesso ammette, non ha nessun talento se non quello di essere se stesso, ma la sua personalità e il suo acume sono più che sufficienti a renderlo ben presto noto anche al di fuori della cerchia ristretta dei locali gay. Alla repressione e alle aggressioni reagisce con le sue mises fiammeggianti, i suoi trucchi, le sue clamorose pettinature: tutto il mondo deve sapere che è omosessuale, anche se a qualcuno che gli chiede se la sua è una omosessualità praticata risponde: «Che bisogno c'è? Sono già perfetto così». Quentin Crisp diventa famoso presso il grande pubblico grazie alla brillante interpretazione che di lui dà John Hurt nel 1975 in un film per la televisione. «Come Quentin Crisp è molto più credibile lui di me» è il suo commento. Nel 1991 interpreta il ruolo della Regina Elisabetta I nel film Orlando di Sally Potter e incuriosisce un pubblico ancora più vasto. In tarda età emigra negli Stati Uniti, dove diventa un mito rispettato per il suo coraggio, la sua onestà e il suo acume, che sfoggia in serate e monologhi che a un pubblico italiano potrebbero ricordare gli indimenticabili bis di Paolo Poli. Vive in povertà a Manhattan in un monolocale cadente e muore all'età di 91 anni. A chi gli chiede a cosa attribuisce la sua longevità risponde: «sfortuna». Mark Farrelly in La speranza è nuda costruisce un monologo in due parti che attinge a piene mani da un repertorio di aforismi e paradossi degni di Oscar Wilde. Nella prima parte racconta gli anni difficili di Londra, nella seconda parte riproduce uno degli irresistibili one-man-show in cui Crisp si esibiva a New York. Luca Toracca, attore dotato di ironia, curiosità per la vita e abilità trasformistiche è l'interprete perfetto per farci conoscere questo personaggio sorprendente, inedito e soavemente rivoluzionario.

dal 25 al 27 novembre ore 21 SEE PRIMARK AND DIE di Claire Dowie regia Dafne Rubini con Martina Gatto direzione creativa Ivan Specchio aiuto regia Federica Balducci assistente alla regia Giorgia Macrino organizzazione Pamela Parafioriti disegno luci Alessio Pascale ufficio stampa Maresa Palmacci foto Paolo Falasca post produzione Elena Prosdocimo traduzione e adattamento Elena Maria Aglieri e Carlo Emilio Lerici coproduzione Esosementi / Teatro Belli in accordo con Arcadia Ltd per gentile concessione di Claire Dowie

"Tutto il capitalismo ruota intorno alla merda cercando di coprirne l'odore."

Negozi, vetrine, alimentari, supermercati, prodotti, prodotti superscontati, alimenti bio a chilometro zero. Le nostre città sono ormai invase da qualsiasi tipo di tentazione acquistabile. Cosa succederebbe se un giorno, svegliandoti, non riuscissi più a comprare nulla? È quello che accade alla protagonista del testo di Claire Dowie, prima di mettere piede nel suo negozio preferito. L'incapacità - quasi la fobia - di acquistare si impossessa di lei, trascinandola in una serie di situazioni sorprendenti e disorientanti. Irriverente e poetico, attuale e ironico, See Primark and Die! rispecchia la tradizione della stand-up comedy britannica, mettendo in primo piano la parola, il più delle volte sfacciata e imprevedibile. D'altronde, cos'altro avrebbe potuto fare in una società capitalistica e consumistica?

dal 30 novembre al 4 dicembre ore 21 CUCKOO di Suhayla El-Bushra adattamento e regia Carlo Emilio Lerici con Francesca Bianco, Raffaella Alterio e Beatrice Coppolino produzione Teatro Belli

Erica è annoiata. La sua vita era stimolante, esotica, con viaggi di lavoro in Africa e un lavoro eccitante. Ora, dopo il trasferimento a Londra, la sua vita è un susseguirsi di giorni noiosi trascorsi tra le mura domestiche. Poi, una mattina, incontra in cucina la nuova amica di sua figlia Jenny, Nadine. Improvvisamente, la vita diventa di nuovo interessante. Nadine, al contrario di Jenny, timida e riservata, è un'adolescente sarcastica e pungente, talvolta addirittura violenta. Tra Erica e Nadine nasce una bizzarra amicizia: la ragazza è affascinata da questa donna hippy e svagata, così diversa da sua madre, al contrario rigida e severa. Dopo l'ennesimo scontro con la propria famiglia, perché espulsa da scuola per aver rotto il braccio ad un ragazzo, Nadine si trasferisce a casa dell'amica, e lei ed Erica diventano confidenti.  Le due parlano di tutto, anche di sesso, e Nadine, per la prima volta, si sente ascoltata, capita. Erica, che odia essere chiamata "mamma", trova questa ragazza spavalda e acuta molto più interessante della figlia, e tra le due si instaura un vero e proprio legame. Come il "cuculo" del titolo, uccello migratorio che depone le uova nei nidi di altri uccelli, Nadine si inserisce nella dinamica familiare di Erica e Jenny e la sconvolge. In Jenny, che è sempre stata una brava ragazza, iniziano a crescere sentimenti di rabbia ed esclusione, in una sorta di battaglia per gli affetti che avrà un finale imprevedibile. "Cuckoo" - secondo atto di una trilogia dedicata da El-Bushra ai rapporti tra adolescenti e genitori - è una storia densa di questioni di classe, brave ragazze e cattive ragazze, rabbia e risentimento femminile, responsabilità e genitorialità. Le ragazze adolescenti lottano per capire se stesse, ma la loro vita interiore è lucida e piena di possibilità. Al contrario, gli adulti o sono assenti fisicamente o nello spirito. El-Bushra gioca con i preconcetti: la mamma di Jenny si veste da hippy dimenticata dal tempo e le ragazze parlano esplicitamente di sesso (anche quando non hanno esperienza). In un certo senso, è un mondo che non c'è: le ragazze vivono in attesa di cose che ancora devono accadere e gli adulti ricordando glorie che forse non sono mai accadute.

6/7 dicembre ore 21 ANGEL OF KOBANE di Henry Naylor regia Simone Toni con Anna Della Rosa creazione visiva Cristian Zurita traduzione Carlo Sciaccaluga produzione TPE - Teatro Piemonte Europa produzione originale 2018 Teatro Nazionale di Genova

"Il mio sangue la mia ultima linea di difesa" è la frase che Rehana pronuncia quando, per non essere stuprata da un membro dell'Isis che l'ha comprata in un mercato di Raqqa, si sporca le mutande con il sangue di una ferita che si è procurata cercando di scappare. Non è permesso, infatti, possedere una donna che ha le mestruazioni: l'uomo sarebbe dannato e per lui non si aprirebbero le porte di quel paradiso in cui dovrebbero attenderlo 72 vergini come premio per la sua guerra santa agli infedeli. Rehana per questa volta è salva. In quella frase è raccolto il senso più profondo del testo e del nostro spettacolo: l'orgoglio e il coraggio del popolo curdo che da solo ha respinto e tuttora sta resistendo all'esercito di Daesh, l'Isis. Un popolo di cui si parla poco, salvo quando, a sproposito, viene additato dal governo turco come una pericolosa minaccia di stampo terrorista. La storia dell'uomo ci presenta innumerevoli tragici esempi in cui il sangue dei civili è stato l'ultima linea di difesa, e quando un popolo è costretto a prendere le armi per difendere la propria terra e la propria libertà è una sconfitta per tutto il genere umano. Ecco perché il nostro spettacolo oggi è ancora tristemente attuale. L'arte e la cultura dovrebbero contribuire a formare coscienze umane fatte di sentimento, comprensione e compassione. A tal proposito vorrei riportare una frase della lettera che il grande regista russo Lev Dodin ha scritto a W.Putin dopo pochi giorni dall'invasione dell'Ucraina:  "Nella mia infanzia, abbiamo giocato a difendere Mosca, Stalingrado, Leningrado, Kiev. Non posso nemmeno immaginare che oggi Kiev si difenda o si arrenda ai soldati o agli ufficiali russi. Il mio cervello si attacca al cranio e si rifiuta di vedere, di sentire, di immaginare tali immagini". Ma noi teatranti, con il cranio attaccato al cervello abbiamo il dovere di far vedere gli orrori della guerra, sperando che l'antica funzione catartica del Teatro abbia ancora qualche potere nel toccare l'animo umano. "L'angelo di Kobane" è la piccola grande storia di Rehana. In scena c'è solo un'attrice. Viene da un altrove e si presenta nel qui e ora per tranquillizzarci, non vuole farci sentire in colpa, vuole solo raccontare una storia di cui nessuno parla. Vuole raccontare come è stata costretta a scappare di casa un giorno con sua madre, perché stava arrivando l'Isis, e come poi sia fuggita tornando a cercare il padre che a sua insaputa era rimasto a combattere. Vuole renderci partecipi di come da aspirante avvocato sia divenuta uno spietato cecchino delle YPJ e di come infine sia stata catturata e decapitata, infrangendo la regola d'oro "tenere l'ultima pallottola per se stessi". Soprattutto ci racconta il suo amore per la vita e di come le violenze subite non l'abbiano scalfito. Ci racconta degli alberi della fattoria di suo padre che un giorno, già combattente, ritrova bruciati dai terroristi ma che ricresceranno anche grazie al sangue, suo e delle sue compagne, di cui il suolo sembra essere assetato. Ciò che mi ha guidato nella regia è stato prevalentemente il rispetto verso questo personaggio e la sua storia, che si è tradotto in un altrettanto grande rispetto e sostegno verso Anna Della Rosa che lo interpreta.  Rehana arriva con un borsa di pelle "vissuta", carica di piccoli oggetti che nel corso dello spettacolo rimarranno a terra segnando il suo passaggio e un percorso emotivo che lo spettatore potrà condividere come se lo avesse anch'egli attraversato. Oggetti che potremmo ritrovare nello zaino di una ragazza che non c'è più. Anna agisce in un non-luogo di nylon bianco in cui sono presenti solo un ceppo di legno e una piccola tanica di plastica con del sangue/petrolio che insieme agli oggetti disegneranno quella che se fossimo in un museo di arte contemporanea potrebbe essere un'installazione dal nome "L'Angelo di Kobane" ma che sarà semplicemente il nostro spettacolo. Siamo profondamente grati al destino che ci ha fatto incontrare questo angelo ed è con questo sentimento che cercheremo di raccontare la sua storia.

dal 9 all'11 dicembre ore 21 YEN di Anna Jordan regia Jacopo Bezzi traduzione Massimo Roberto Beato produzione La Compagnia dei Masnadieri

Yen, opera teatrale di Anna Jordan vincitrice del Bruntwood Prize 2013, esplora un'infanzia vissuta senza confini e le conseguenze dell'essere costretti a crescere da soli. Hench e Bobbie sono due fratelli di sedici e tredici anni. Vivono a casa da soli, a Feltham un sobborgo di Londra, con il loro cane Taliban; giocano alla PlayStation, guardano film porno in streaming, e trascorrono le giornate a osservare il mondo che passa. A volte la mamma, Maggie, fa loro visita, di solito con le tasche vuote e promesse illusorie. Poi però, un giorno, si presenta a casa loro Jenny, e tutto sembra cambiare…

dal 12 al 14 dicembre ore 21 FUCKED di Penny Skinner regia Martina Glenda con Chiarastella Sorrentino scene Sara Palmieri aiuto regia Arianna Cremona traduzione Francesca Romana degl'Innocenti e Marco M. Casazza produzione Khora Teatro

Sinossi F, in una spirale di flashback, ripercorre a ritroso il suo viaggio dall'adolescenza all'età adulta. Dalla stripper di oggi, in uno squallido locale la notte di Capodanno, torniamo fino alla sua verginità. Quelli di "puttana", "fidanzata", "vittima", "troia", "oggetto", "vergine" sono i panni che veste lungo le tappe relazionali che fino ad oggi l'hanno "fottuta".

Note di regia In una stanza incasinata, un po' come la proprietaria, ci apre il suo racconto F, l'anonima protagonista del testo di Penny Skinner. F, oggi, è una spogliarellista senza un soldo in tasca con problemi di dipendenza. Ma F, oltre a questo è stata e continua ad essere moltissime altre cose. Mentre F legge un racconto che ha scritto a dodici anni, in cui una giovane contadina viene salvata dall'amore del valoroso Duca Randalf Fior di Leone, ci si rende subito conto di qualcosa: F è "fottuta" da molto prima di quanto potesse immaginare, è "fottuta" dal principio. Fucked parla di quanto sia forte l'internalizzazione del pensiero che prima o poi qualcuno verrà a salvarci così da poter vivere finalmente felici e contenti. Ma se non fosse realmente questo il segreto per il lieto fine? E se tutte le favole raccontateci da bambini non avessero fatto che portarci ancor di più fuori strada? Come in un racconto, attraverso una serie di capitoli, F ci porta nel suo processo di analisi e presa di coscienza di sé stessa. Ogni capitolo ha un titolo, o meglio, una definizione. Definizioni che le sono state appiccicate addosso, che darebbe il senso comune o che si è auto attribuita e che vengono presentate nel testo così come apparirebbero sulle pagine di un vocabolario. "I am human and I need to be loved, just like everybody else does", così canta Morrissey sulle note di How soon is now? e così si sente la caotica protagonista. F vive nell'inguaribile sofferenza di chi crede che qualcuno altro possa regalarle più felicità di quanto lei stessa possa fare. Per questo motivo F incappa in atteggiamenti autodistruttivi che la portano all'autoincriminarsi proprio quando non dovrebbe. Si apre così, tra gli altri temi, una delicata riflessione sul mastodontico ruolo del senso di colpa delle vittime in situazioni di abuso. Fucked ribadisce ancora una volta, perché ancora ce n'è bisogno, quanto sia difficile essere una ragazza e stare al mondo. F cade, ricade e per ogni volta che viene "fottuta" eccola che rimbalza in piedi inarrestabile, regalandoci la speranza di poter cambiare il vecchio e noioso finale della favola in cui il cavaliere salva la donzella in pericolo. Martina Glenda

dal 15 al 18 dicembre ore 21 THE DUCKS di Michael Mclean regia Silvio Peroni con Marco Vergani e Giuseppe Benvegna traduzione Natalia di Giammarco produzione Khora Teatro

"R" e "K" sono due lavoratori occasionali con il compito di prosciugare uno stagno di anatre in un parco pubblico. Durante questa obbligata convivenza nasce qualcosa che potrebbe diventare un'amicizia. Ma i rapporti interpersonali non sono sempre semplici.  In ogni relazione c'è una forma di dipendenza, anche nell'amicizia, e non è certo semplice accettarla, anzi spesso la si rifiuta o si instaura con l'altro una lotta di potere. Chi dipende da chi, chi può fare a meno dell'altro? The Ducks è un brillante studio sulla solitudine e sulla mascolinità contrastata. "K" sembra un po' strano, ma "R" fa uno sforzo e lo convince ad andare a bere una birra. "K" non beve. Col passare del tempo "K" uscirà gradualmente dal suo guscio, finché non chiederà a "R" di andare ad ascoltare un suo DJ set. "R" va ma non apprezza la serata anzi la definisce "musica per matti" e lo dice in faccia a "K" senza troppi problemi. La relazione comincia a cambiare fino a quando durante il loro ultimo giorno di lavoro "K" invita "R" a casa sua (vive con sua madre). Questo è un po' troppo per "R": la birra al pub è una cosa, va bene, ma invitare un uomo adulto a casa propria è un po' troppo. Passa del tempo e i due si incontrano nuovamente o meglio è "R" che si presenta alla porta di "K". "K" ora ha un lavoro fisso come tester di videogiochi e la sua vita sembra che stia andando piuttosto bene, mentre il padre di "R" è appena morto e la sua vita sta andando a pezzi. Rinfaccia a "K" la loro vecchia "amicizia" e inizia a sfruttarlo per dei favori personali. Quella che era iniziata come una relazione piuttosto blanda e innocua tra due uomini con poco in comune, a parte la solitudine, diventa un oscuro confronto personale per il potere e il sopravvento. Michael McLean alterna sapientemente l'oscura lotta per il controllo della relazione e le assurdità generali della vita. "R" e "K" sono consapevoli delle assurdità che affiorano nelle loro vite, in effetti è proprio questa battaglia per raggiungere la normalità e liberare le loro vite dalle complicazioni che rende il testo divertente e toccante.

Direzione Artistica: Rodolfo di Giammarco Organizzazione Generale: Carlo Emilio Lerici Segreteria Organizzativa: Caterina Botti e Fabio Giusti Ufficio Stampa: Paola Rotunno Direzione tecnica: Alessio Pascale Progetto grafico: Carlo Mangiafesta

Il progetto, promosso da Roma Culture, è vincitore dell'Avviso Pubblico Contemporaneamente Roma 2020 – 2021 –2022 curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE

Orario spettacoli tutte le sere alle ore 21 Biglietto Intero € 18 Biglietto Ridotto (under 26 e over 65) € 7 Carnet 10 ingressi (Abbonamento ridotto under 26 e over 65) € 60 Carnet 5 ingressi (Abbonamento intero) € 60 Carnet 10 ingressi (Abbonamento intero) € 100 Informazioni e prenotazioni: tel. 06 5894875 info@teatrobelli.it www.teatrobelli.it Facebook: TREND – Nuove Frontiere della Scena Britannica Instagram: @trend_nuovefrontiere Twitter: @Trend_NFSB

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