Conserve fatte in casa e sicurezza, seconda parte

2022-10-14 18:26:49 By : Ms. Yan Zeng

Redazione Il Fatto Alimentare 12 Settembre 2015 Sicurezza Alimentare Commenti

Per aiutare chi si sta cimentando nella preparazione di conserve tra le mura domestiche in fatto di sicurezza alimentare, l’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Università di Teramo e il Centro antiveleni di Pavia, ha redatto tempo fa un vademecum di 116 pagine con le linee guida da seguire per scongiurare lo sviluppo di muffe, batteri e botulino. Abbiamo riassunto i punti salienti per i nostri lettori, proposti in due articoli: il primo già pubblicato con un’introduzione sulle regole generali da seguire per le conserve, e questo con le istruzioni per marmellate, succhi, gelatine, passata di pomodoro e vegetali in salamoia.

Per le conserve a base di frutta, oltre alla pastorizzazione, occorre tenere presenti due fattori: l’acidità e la quantità di zucchero. Se la frutta non è sufficientemente acida, è necessario aggiungere il succo di limone fino ad arrivare ad un pH minore di 4. Il pH della frutta varia in funzione del tipo, del grado di maturazione, del cultivar e della stagionalità, pertanto deve essere misurato attentamente ad ogni preparazione. Per controllare è utile procurarsi una cartina tornasole da immergere nel liquido per misurarne l’acidità (un rotolino costa 8 euro ed è sufficiente per molti vasetti).

Dopo aver selezionato, lavato e tagliato la frutta, aggiungere lo zucchero e gli altri ingredienti della ricetta, quindi portare a ebollizione mescolando di continuo ed eliminando l’eventuale schiuma. Quando il composto inizia ad addensarsi, abbassare la fiamma per evitare che lo zucchero “caramellizzi”. Terminata la cottura, riempire i contenitori a caldo fino a 1-2 centimetri dal bordo. Per evitare che il vetro si rompa, mantenere i vasetti al caldo fino all’invaso, quindi mettere un disco di carta oleata sopra la marmellata, chiudere i barattoli, capovolgerli e lasciarli raffreddare. Nelle marmellate, la frutta si addensa grazie al contenuto di pectina che durante la cottura si trasforma in gelatina. La pectina è una sostanza naturale presente soprattutto nella buccia, nei semi e nel torsolo. Non tutti i frutti ne contengono lo stesso quantitativo, particolarmente ricchi sono: mele e arance, mentre kiwi, meloni e cocomeri ne sono quasi privi. Per la preparazione si può utilizzare la pectina estratta dalla frutta oppure quella disponibile in commercio.

Come già detto, i fattori più importanti che influiscono sulla conservazione sono l’acidità e il contenuto di zucchero. L’acidità, oltre a svolgere la sua azione come conservante, evita che lo zucchero cristallizzi durante la cottura. Se si utilizzano frutti poco acidi è consigliabile aggiungere del succo di limone. Non bisogna eccedere con lo zucchero, per evitare che durante la cottura cristallizzi. È però importante non metterne troppo poco, perché ne risentirebbe la conservabilità. Sono da preferire le ricette in cui è previsto uno stesso quantitativo di zucchero e di frutta, in ogni caso non scendere sotto i 700 g di zucchero per ogni chilo di frutta. Se una cottura eccessiva provoca la cristallizzazione dello zucchero, cuocere poco rende il prodotto troppo liquido e facilmente attaccabile da muffe e microrganismi. Ci sono due prove per stabilire se la marmellata è pronta:

• versando una goccia su un piatto questa dovrà scivolare lentamente aderendo alla superficie;

• immergendo e risollevando un cucchiaio nel preparato, la marmellata/confettura deve avere una consistenza collosa e filamentosa.

Sono conserve con un contenuto di zucchero minore rispetto alle marmellate, e con un’acidità (pH <4) adatta a scongiurare il rischio botulino. Si possono ottenere anche varianti senza aggiungere zucchero, utilizzando frutta molto matura, cotta per venti minuti insieme al succo di limone quindi frullata e conservata. In frigorifero si conservano fino a sette giorni, oppure più a lungo se si fa pastorizzare come per le altre conserve vegetali.

Per ottenere il succo tagliare la frutta a dadini e aggiungere acqua e zucchero, secondo ricetta, fino a coprirla appena. Cuocere fino a ottenere una purea e passarla in un setaccio. Se la frutta non è sufficientemente acida, è necessario aggiungere il succo di limone fino ad arrivare a un pH minore di 4. Anche queste preparazioni devono essere pastorizzate.

Si ottengono a partire da succo di frutta e sciroppo di acqua e zucchero. Lo zucchero viene aggiunto in proporzione pari alla polpa di frutta. Per permettere la solidificazione della gelatina, la frutta non deve essere eccessivamente matura e non va sbucciata altrimenti si perde la pectina necessaria per addensare. Il succo poi va passato in un setaccio e dopo in una garza per renderlo limpido. A questo punto bisogna acidificare con il limone fino ad arrivare ad un pH inferiore a 4 e aggiungere lo zucchero. Cuocere nuovamente fino a quando la gelatina non raggiunge la giusta consistenza (è possibile fare le stesse prove che si effettuano per marmellate e confetture). Invasare e chiudere i barattoli capovolgendoli come per le marmellate. Frutta sotto spirito

Questa preparazione non comporta il rischio botulino perché si utilizza alcol a 90 gradi o, in alternativa, liquori secchi ad alta gradazione come grappa e brandy. La frutta non deve essere eccessivamente matura ed è preferibile quella di piccole dimensioni per permettere all’alcol di penetrarvi più facilmente. La frutta sotto spirito non va pastorizzata.

Lo sciroppo è una soluzione zuccherina concentrata. Se si impiega frutta acida il contenuto di zucchero nello sciroppo deve essere intorno al 30% (300 g di zucchero e 700 g di frutta). Poi si fa la pastorizzazione che serve anche a cuocere la frutta. Per utilizzare quantità minori di zucchero è necessario preparare una soluzione acida a pH 4 con 180 g di zucchero ogni litro di acqua e succo di limone.

La preparazione avviene lasciando macerare le erbe aromatiche in un buon aceto per un periodo di tempo variabile in base al gusto, quindi si filtra e si imbottiglia. È un prodotto sicuro dal punto di vista microbiologico. Per una conservazione ottimale si consiglia di riporre le bottiglie in luogo fresco, areato e buio.

La preparazione avviene aggiungendo all’olio erbe aromatiche o peperoncino. L’olio non svolge un’azione battericida, come l’aceto, per cui le erbe aromatiche (o il peperoncino) devono subire un trattamento in aceto come descritto nella sezione dedicata ai vegetali sottolio. Un’alternativa può essere la disidratazione, ovvero mettere gli ingredienti in un essiccatore elettrico o nel forno a 60° C (fino a quando si sbriciolano). La disidratazione è molto importante perché, se le erbe rimangono umide, nel vasetto in assenza di ossigeno potrebbero svilupparsi le spore di botulino. Purtroppo il grado di disidratazione non è facilmente misurabile, si consiglia pertanto il trattamento in aceto.

È complicato preparare queste conserve a casa perché essendo poco acide o addirittura non acide sono a rischio botulino. Per esempio l’aggiunta di carne o pesce al sugo di pomodoro riduce l’acidità rendendo così il preparato un “terreno” idoneo alla proliferazione delle spore botuliniche. La cosa migliore in questi casi è di preparare i sughi e di conservarli in comode porzioni nel freezer. Il freddo blocca l’attività microbica impedendo la crescita dei microrganismi e rallenta fortemente l’attività enzimatica. I tempi di conservazione variano in funzione del prodotto e del freezer. Nel libretto delle istruzioni sono riportati i tempi per le diverse categorie di cibo.

La salamoia è un ottimo sistema per la conservazione dei vegetali, ma la concentrazione di sale deve essere corretta (almeno 100 g di sale per ogni litro di acqua) per evitare il rischio botulino. Quando i vegetali vengono immersi nella salamoia, inizia una fermentazione naturale ad opera di microrganismi, che trasformano i carboidrati in acidi organici (principalmente acido lattico). È di vitale importanza non eliminare i microrganismi dalla salamoia, che di solito formano uno strato biancastro sulla superficie, come ad esempio nel caso delle olive. Conserve di pomodoro

Le preparazioni a base di pomodoro, come passata, concentrati e pelati, sono le più diffuse in ambito domestico. Generalmente il pH del pomodoro varia da 3,9 a 4,6, e conviene scegliere le cultivar più acide (pH<4,3) per diminuire i tempi di pastorizzazione. Se i pomodori sono poco acidi occorre aggiungere succo di limone (due cucchiai da tè per un litro) oppure acido citrico. In alternativa è possibile utilizzare l’aceto, tenendo presente che il sapore potrebbe subire delle modifiche. Dopo aver selezionato e lavato i pomodori, triturarli con il passaverdure per separare anche le bucce e i semi dalla polpa. Quindi, se necessario, acidificare e riempire i contenitori, o le bottiglie con il tappo a stella (quello delle birre) e pastorizzare. Come indicato nelle sezioni precedenti, se il riempimento dei vasi è effettuato a freddo, la pastorizzazione si fa partendo da acqua fredda e deve durare, dal momento dell’ebollizione dell’acqua, almeno 40 minuti, per i contenitori da un litro, e 35 per quelli da mezzo litro. Nella passata di pomodoro domestica, dopo la pastorizzazione si può separare una fase liquida (di colore giallognolo) dalla polpa, ma è del tutto normale. Per la preparazione del concentrato, una volta ottenuta la passata o partendo da pomodori in pezzi, si può eliminare l’acqua in eccesso per filtrazione con un panno di lino o cotone (a forma di sacco); il processo è molto lento. Oppure si può cuocere la passata per circa 2-3 ore a fiamma medio-bassa senza coperchio. Concentrando la passata mediante bollitura, il prodotto deve essere invasato a caldo e la successiva pastorizzazione sarà effettuata partendo da acqua calda (alla stessa temperatura del concentrato).

Dopo aver selezionato i frutti maturi, sodi e privi di imperfezioni, lavarli in acqua corrente e praticare su ognuno un taglio a croce. Mettere sul fuoco una pentola e quando l’acqua inizia a bollire scottarli per 2-3 minuti. Rimuovere i pomodori con una “schiumarola”, aspettare che si raffreddino, togliere la buccia e invasare. Chiudere quindi i barattoli e pastorizzare con le modalità riportate per la passata.

È una tradizione diffusa in molte regioni italiane conservare il pesce azzurro (alici, in particolare) sotto sale, alternando strati di pesce a strati di sale. La preparazione è rischiosa perché durante le prime fasi, negli strati inferiori, possono crearsi condizioni di anaerobiosi. Inoltre il sale che non è ancora penetrato all’interno del prodotto non è in grado di inibire lo sviluppo del clostridio botulinico, quindi eventuali spore possono germinare e moltiplicarsi. In queste prime fasi è  necessario mantenere bassa la temperatura per bloccare lo sviluppo microbico.

Carne conservata sotto sale: valgono le stesse considerazioni fatte per il pesce. Sottovuoto domestico

Per quanto riguarda i prodotti confezionati sottovuoto in casa, l’estrazione dell’aria e dell’ossigeno, se da un lato impedisce lo sviluppo dei microrganismi aerobi, dall’altro permette la germinazione delle spore dei clostridi produttori di tossine botuliniche. Si suggerisce di evitare di conservare gli alimenti sottovuoto per lunghi periodi. La conservazione domestica sottovuoto non costituisce un rischio per il botulismo se applicata ai salumi affettati che si conservano in frigorifero per pochi giorni, e ai prodotti immediatamente congelati dopo il sottovuoto. In entrambi i casi le eventuali spore botuliniche non hanno il tempo di germinare e produrre tossine.

Sono preparazioni a base di pesce, molluschi o crostacei che possono essere contaminate da ceppi di clostridi produttori di tossine botuliniche, in grado di sopravvivere e moltiplicarsi anche nel frigorifero. Come già specificato, il pH delle materie prime di partenza non è sufficientemente basso da impedire lo sviluppo di questi batteri, per cui è richiesta un’acidificazione del prodotto in salamoia con sale e aceto di vino, a cui segue il confezionamento sott’olio. A livello domestico è diffusa la preparazione di prodotti marinati crudi, (principalmente alici e sardine) pulito e filettato, marinato in aceto e sale (percentuali fino a 10-14%), ma in alcune zone d’Italia è comune anche la preparazione di pesce cotto, come le anguille. Inoltre, si vanno diffondendo anche prodotti come le insalate di mare con  seppie, calamari, polpi e crostacei, o surimi, cotti e poi sottoposti a marinatura. In merito a queste produzioni, la marinatura è indispensabile per ridurre il pH a valori uguali o inferiori a 4,5 ed evitare così la crescita di spore di clostridi produttori di tossina. Generalmente la marinatura si prepara con aceto di vino bianco e sale (e olio), ma alcuni consumatori preferiscono il limone (o una miscela di aceto e limone) per le note meno pungenti e più aromatiche. La marinatura dovrebbe avvenire in contenitori di vetro o ceramica, mentre sono da evitare recipienti metallici o plastici. Inoltre è buona norma fare marinare i prodotti in frigorifero chiudendo il contenitore con un coperchio. I tempi variano a seconda della pezzatura del prodotto, e devono consentire la corretta acidificazione della preparazione.

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I vegetali conservati sott’olio e precedentemente cotti in acqua e aceto vanno pastorizzati?

Sott’olio Dopo averli selezionati, lavati ed eventualmente tagliati, i vegetali devono essere sbollentati per qualche minuto in una soluzione di acqua e aceto in parti uguali. In questo modo oltre a cuocere, essi verranno acidificati e si conserveranno in sicurezza. Lo stesso vale se si utilizzano spezie ed erbe aromatiche per insaporire. Dopo la cottura i vegetali devono risultare “al dente” altrimenti durante le fasi di conservazione perderanno completamente consistenza. Terminata la cottura devono essere scolati grossolanamente e lasciati raffreddare ed asciugare su un panno asciutto e pulito, quindi inseriti nel contenitore facendo attenzione a colmare tutti gli spazi vuoti, senza però schiacciarli troppo. A riempimento avvenuto, ricoprire completamente con l’olio e cercare di togliere l’eventuale aria ancora rimasta intrappolata nell’alimento. Se nella ricetta non sono fornite indicazioni diverse, è consigliabile lasciare riposare le conserve per almeno mezza giornata prima di collocarle in dispensa. Potrebbero infatti assorbire olio e quindi potrebbe essere necessario un rabbocco. È assolutamente indispensabile considerare che, nel caso si procedesse con il rabbocco dell’olio, le conserve dovranno essere nuovamente pastorizzate. Nei 10-15 giorni successivi alla preparazione può essere utile controllare che la conserva riposta in dispensa non presenti segni di alterazione come bollicine di aria che dal fondo salgono verso il tappo, oppure l’olio diventato opalescente. Per poter apprezzarne meglio il gusto, le conserve, dovrebbero essere consumate almeno 2-3 mesi dopo la preparazione. Comunque, se le modalità di preparazione sono state svolte correttamente, i tempi di conservazione possono essere molto lunghi, anche un anno e mezzo.

Se non si effettua nessu rabbocco quindi è sufficiente la sola cottura del vegetale in soluzione acida. Grazie

Attenzione a fornire indicazioni frettolose e incomplete su temi così delicati. Le informazioni riportate dall’utente precedente sono estratte dalle linee guida dell’ISS ma con maldestri e pericolosi “tagli”. Non si menziona infatti che dopo la scottatura in acqua e aceto e DOPO il riempimento del barattolo con olio, i prodotti devono comunque essere SEMPRE pastorizzati. Si rimanda alle linee guida menzionate nell’articolo per ulteriori informazioni.

Attenzione a fornire indicazioni frettolose e incomplete su temi così delicati. Le informazioni riportate dall’utente precedente sono estratte dalle linee guida dell’ISS ma con maldestri e pericolosi “tagli”. Non si menziona infatti che dopo la scottatura in acqua e aceto e DOPO il riempimento del barattolo con olio, i prodotti devono comunque essere SEMPRE pastorizzati. Si rimanda alle linee guida menzionate nell’articolo per ulteriori informazioni.

Grazie Marco per aver fornito dettagli di non poco conto.

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